"Dopo 40 anni vi racconto l’incontro soprannaturale che mi fece convertire"

In un libro con Andrea Tornielli lo scrittore ripercorre la sua vita in difesa della fede. E svela il segreto di un’esperienza misteriosa

"Dopo 40 anni vi racconto l’incontro soprannaturale che mi fece convertire"

Da oggi è in libreria Perché credo, la lunga intervista che Andrea Tornielli ha fatto a Vittorio Messori. I due autori del volume sono noti anzi arcinoti. Tornielli è il nostro vaticanista e ha pubblicato un’infinità di libri (una mole di lavoro che ha ormai convinto tutti noi, qui in redazione, dell’esistenza di più Tornielli, creati in serie con una sorta di clonazione ante litteram) di libri, dicevo, che in alcuni casi hanno riaperto il dibattito sulla storia della Chiesa. Tanto per fare un esempio: nei giorni scorsi nientemeno che Benedetto XVI, e nientemeno che durante una messa, ha citato un libro di Andrea su Pio XII.

Quanto a Vittorio Messori, per lui parlano le milioni di copie vendute in tutto il mondo, a partire da Ipotesi su Gesù, uscito alla metà degli anni Settanta. Messori, se stabilisce un record, s’incarica poi anche di batterlo: fino a tre anni fa era l’unico giornalista della storia ad aver scritto un libro-intervista con un Papa (Wojtyla); poi nel 2005 è diventato Papa Ratzinger, e siccome Messori aveva fatto un libro-intervista anche con lui una ventina di anni prima, è diventato di colpo l’unico ad aver scritto due libri-intervista con due papi. Un primato che probabilmente resisterà fino alla fine dei tempi.

Da un binomio del genere, Tornielli-Messori, non poteva che uscire un grande libro, quale in effetti Perché credo è. Sono più di quattrocento pagine nelle quali Messori offre una specie di summa degli studi e dell’esperienza di tutta una vita, la sua: una vita spesa a rendere «ragione della fede», come è scritto nel sottotitolo. Questa è stata la principale grandezza di Messori: far capire a un mondo ormai dominato dal razionalismo che credere nel Vangelo è tutt’altro che irragionevole, anzi.

Mi rendo conto di aver scritto «è stata» come se Messori non ci fosse più. Per fortuna è ancora fra noi, in salute e con tante altre cose da dire. Se ne ho parlato al passato è perché sono condizionato da quanto lui stesso mi ha detto presentandomi questo libro: «È una sorta di testamento. Ho tirato le somme». E forse proprio perché la considera «definitiva», Messori ha inserito in quest’opera la rivelazione di un suo segreto. Anzi, del suo segreto.
C’è uno scoop, dunque, in queste pagine. Arrivato a 67 anni, Messori racconta per la prima volta che cosa c’è all’origine della sua conversione, avvenuta quando di anni ne aveva ventitrè. Non un ragionamento, non una convinzione intellettuale, non la somma di studi e neppure un atto di generosità. C’è stata, invece, un’esperienza mistica. Non so quanti conoscano il libro Dio esiste, io l’ho incontrato di André Frossard (credo parecchi, almeno fra i cattolici): ecco, si tratta di una cosa molto simile.

Frossard (1915-1999) era figlio del segretario del Partito comunista francese. Famiglia ultra-atea. E non solo ateo, ma anche del tutto spensierato era il giovane André, nel cui orizzonte trovavano spazio solo il giornalismo e le ragazze. L’8 luglio del 1935 il ventenne Frossard aveva un appuntamento con un amico a Parigi. Questi tardava. Per ingannare il tempo, Frossard entrò nell’unico locale nei paraggi: una minuscola cappella. Quel che accadde è difficilmente descrivibile a parole perché trascende i nostri sensi. Sta di fatto che da quella cappella in cui era entrato ateo, Frossard uscì, pochi minuti dopo, con una fede d’acciaio, che non lo avrebbe mai più abbandonato, neanche nei momenti della prova più dura: «Per due volte», raccontò ormai anziano, «ho dovuto accompagnare un figlio al cimitero. Ma non avrei potuto ribellarmi, sapendo che non avrei potuto dubitare». Solo passata la sessantina, Frossard svelò il mistero di quell’Incontro: ormai era affermato e famoso, non aveva bisogno di pubblicità; e aveva accumulato sufficienti anni di vita «normale» per non passar per matto.

Messori ha fatto lo stesso. Ha aspettato di essere il più famoso scrittore cattolico italiano (e forse del mondo) e di essere ormai al sicuro da sospetti di follia o più semplicemente di creduloneria. Quindi ha raccontato quel che gli accadde l’estate del 1964, a Torino, al tempo in cui era, di giorno, studente universitario e, di notte, centralinista alla Stipel. Anni intensi di studio e lavoro, ma anche e soprattutto anni beati, di spensieratezza, di libertinaggio, di grandi progetti per il futuro.
Figlio di genitori atei o perlomeno anti-clericali, il giovane Messori non aveva mai sentito parlare, in casa, di parrocchie di Madonne e di santi. Men che meno ne aveva sentito parlare dai suoi laicissimi professori universitari, i Bobbio, i Galante Garrone. «Gramsci-Gobetti», questo era il suo Pantheon.

Fu quindi per un puro, imprevedibile caso che un giorno d’estate di quel 1964 prese in mano un Vangelo. E fu in quel momento che il mistero gli si manifestò come si era manifestato a Frossard: la stessa sensazione, anzi la stessa certezza, che Dio c’è, e che c’è un altro mondo, retto da un ordine supremo, un mondo reale, così reale che il nostro al confronto appare per quello che è, un’ombra destinata a dissolversi.
Anche qui le parole non bastano, e poi non voglio togliere al lettore il gusto della scoperta. La rivelazione del segreto di Messori è diluita nel libro in più punti, ogni tanto ritorna, riappare, ricrea stupore e speranza in chi legge. Tutta l’opera di questo scrittore si rivela ai suoi fedeli lettori in un’ottica diversa: Messori non è colui che avevamo sempre pensato, cioè uno che crede grazie alla ragione. No, Messori è uno che non ha bisogno né di ragionare né di credere: è uno che sa. La ragione gli è servita per approfondire, per conoscere tutto il contorno di quel mistero: e per comunicare agli altri, in via ordinaria, la Notizia che ha ricevuto in via straordinaria.

Come sempre in questi casi, si può credere o non credere. Per quel che vale la mia testimonianza dico questo: quando ho un dubbio di fede, e ne ho tanti anzi tantissimi, mi attacco a lui. Non ho mai avuto l’impressione che recitasse, fosse pure per il nobile scopo di rasserenare il prossimo. Mi ha sempre detto: «Se mi ordinassero di abiurare puntandomi una pistola alla tempia, non abiurerei. Ma non per eroismo. Semplicemente perché non posso abiurare. Sono inchiodato dall’evidenza».
Dieci anni fa andai a trovarlo prima di un intervento chirurgico nel corso del quale avrebbe potuto lasciare la pelle. Era tranquillo, anzi beato come un bimbo svezzato in braccio a sua madre: «So che se dovessi morire, un istante dopo avrei a che fare con un certo Gesù di Nazareth. Non temo la morte, semmai temo il giudizio». Gli ho risposto: Vittorio, se temi l’inferno tu che da una vita difendi la Causa, non oso immaginare dove finiremo tutti noi. «Ma io non sono un santo e non ho vissuto da santo», mi ha detto. «Della mia fede non ho alcun merito.

Mi è stata data una grazia speciale. E a chi tanto ha ricevuto, tanto sarà richiesto. Per questo temo il giudizio. Se Dio ci giudica secondo le nostre opere, siamo fregati caro mio. Dobbiamo confidare nella Sua ingiustizia».

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