Ruslan Kazan Nigmatullin, moscovita e superman del Verona, rimase sotto choc dal gennaio 2002 fino al termine della stagione. Era considerato un degno erede della grande scuola russa, dall’impossibile Kamaz Chally Naberezhnye allo Spartak a soli vent’anni, due scudetti, alto, agile, un futuro già scritto. Infatti in Italia verrà sequestrato e poi finirà davanti ai pm Palamara e Palaia a raccontare la sua incredibile storia. Rino Foschi lo aveva pescato a Mosca e portato al Bentegodi, lui credeva di essere un predestinato e lo ha raccontato lo scorso anno in procura: «Pensavo che in Italia il calcio fosse diverso». In effetti più che un predestinato fu un precursore perché finì rinchiuso prima di Paparesta, anche se la location era più agevole, un albergo invece di uno squallido spogliatoio. La vicenda era arrivata alla Dda di Roma partendo proprio da un’inchiesta sulla mafia russa, lui racconterà che appena sbarcato in Italia fu blindato per giorni nella camera di un hotel di via Veneto a Roma, telefonino sequestrato, niente contatti: o firmava la procura con la Gea o ne sarebbe uscito storto. Uno dei primi indizi che convinceranno i magistrati a scavare. Lo avevano convinto che avrebbe fatto una carriera sfolgorante nella Juve, bastava una firma, finirà a Salerno dopo quattro mesi da impalato al Bentegodi. S’aggirava per Verona come un fantasmino impaurito, le sue eccezionali doti acrobatiche erano svanite nel nulla. Adesso fa il commentatore per la tv russa e quando gli chiedono dell’Italia risponde: «Ci ho giocato poco e mi dispiace molto».
Ai tempi era uno degli isolati stranieri numeri uno della nostra serie A, mai come dieci anni fa quando l’unico era l’austriaco Michael Konsel, titolare nella Roma di Zdenek Zeman, arrivato dopo tredici stagioni nel Rapid Vienna, undici da titolare. In realtà in quella serie A c’era anche un certo Aleksander Kocic, jugoslavo, secondo all’Empoli e poi al Perugia. Purtroppo per lui è ricordato solo da pochi, quelli che durante una partita contro il Napoli lo videro mettere knock out due suoi compagni di squadra con un pugno solo mentre era in plastica uscita aerea. Periodo tribolatissimo, arriva a Perugia e gioca 16 partite ma non convince, lo spediscono al Levante, torna a Perugia, fa 5 presenze, poi due nell’Empoli, prima di tornare alla Stella Rossa di Belgrado.
Oggi gli stranieri in porta nella nostra serie A sono addirittura otto, quattro brasiliani, proprio quelli che un tempo hanno fatto la fortuna di Mai dire gol. Il titolare nella Seleçao era in bilico fra Dida e Julio Cesar, poi è arrivato il romanista Doni a mettere tutti d’accordo e a conquistare l’ennesima Coppa America. Loro si sono spartiti il meglio, Dida la Champions, Julio Cesar il campionato, Doni la coppa Italia. Sebastien Frey, classe da vendere, si mise in porta a parare senza guanti nel ritiro precampionato dell’Inter quando ancora non aveva vent’anni. Usciva di casa rigorosamente in tinta, Porsche verde e capelli dello stesso colore, adesso che ha ridotto il numero di fuoriserie e abbinamenti cromatici, sta riguadagnando posizioni anche nella nazionale francese. Se la Lazio acquista l’estremo del River Juan Pablo Carrizo, saliranno a nove gli stranieri fra i pali. Il club argentino ha già annunciato alla stampa la cessione di Carrizo con i particolari: 7,5 milioni dalla Lazio, quinquennale da 650mila euro a stagione al portiere. Solo Lotito resta prudente: «Parlo solo quando vedo la firma sul contratto».
Così ai nostri non resta che emigrare, Abbiati all’Atletico, De Sanctis al Siviglia, con Amelia e Toldo a valigia fatta e Gianluigi Buffon che si è dovuto legare ai pali del Comunale per resistere alla tentazione. Si è sempre raccontato che la nostra è una scuola d’avanguardia, la grande tradizione dei numeri uno, ma senza metterla giù troppo dura.
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