Non c’è condanna che tenga. Quindici anni sono una vita, eppure una vita non è abbastanza. La morte di Abba è una ferita che non si rimargina. Tra i parenti e gli amici del ragazzo ucciso il 14 settembre dello scorso anno, pochi istanti dopo la lettura della sentenza a carico di Fausto e Daniele Cristofoli, c’è una parola che riassume il loro bisogno di una giustizia impossibile. «Volevamo l’ergastolo». Impossibile, per il rito abbreviato con cui si è celebrato il processo. E tuttavia, «serviva una condanna più severa» Così, una condanna più severa se l’aspettava Assane Guibre, il padre di Abba, anche se questo «non avrebbe riportato in vita mio figlio». Nessuna «soddisfazione, perché Abba non c’è più». Ed è inutile parlargli del risarcimento (100mila euro per i genitori della vittima, e 25mila per ognuna delle sorelle) fissato dal giudice per le udienze preliminari Nicola Clivio. «Dei soldi non mi importa, non penso al risarcimento che non mi restituisce mio figlio, ma al mio dolore». Ha incrociato Fausto e Daniele Cristofoli in tribunale, prima che l’udienza a porte chiuse iniziasse. «Non so che dire, non credo che siano pentiti. Posso dire solo che quei due hanno problemi di razzismo». E nonostante la tragedia che l’ha colpito, Assane ha deciso che non tornerà in Burkina Faso, il suo Paese d’origine. «Io sono italiano. Siamo tutti italiani. Sono libero in Italia di andare dove voglio». Nessuna giustizia per Aminata Bara, la mamma del 19enne ucciso. «Fino a qualche giorno fa credevo nella giustizia». Si interrompe, commossa. «Oggi la giustizia mi ha fatto crollare per terra. Sono troppo pochi gli anni di pena. Non si può dimenticare cosa è successo, provo troppo dolore per parlare». C’è tutta la famiglia di Abba, al settimo piano del Palazzo di Giustizia. C’è anche una della sorelle, che rilancia un’accusa esclusa fin dal primo momento dalla Procura. «Razzismo». «Mio fratello è stato ucciso per il razzismo - dice guardando i Cristofoli -. Li ho visti in faccia e il loro sguardo era quello di due persone fredde, che non si sono mai pentite». E c’è Abdoulaye, il cugino di Abba. «Volevamo l’ergastolo tutti quanti. Lo sappiamo che non è possibile, ma uno pensa al dolore che ha dentro». Lui che con Abba è cresciuto, insiste che «il meccanismo dell’abbreviato è sbagliato, ho visto dare l’ergastolo per cose molto meno gravi». Per questo, non ha intenzione di chiudere qui la vicenda. «Abbiamo tutti una grande rabbia addosso. Sicuramente organizzeremo qualcosa, una manifestazione con gli amici. Qualcosa per far capire alla gente che quello che è successo non è giusto». Nessuno, tra gli amici della vittima, è soddisfatto. «È una condanna troppo bassa, è dura non avere più una persona che vedevo tutti i giorni e ho perso.
Torniamo a casa nervosi, tristi e arrabbiati». Due famiglie distrutte. Quella di Abba, ma anche quella dei Cristofoli. L’angoscia è di tutti. E di uno, più degli altri. «Il perdente sono io - scuote la testa papà Assane - che non ho più mio figlio».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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