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Gli abbonati alla retorica facile si fanno belli con gli immigrati

Venezia«Il cinema con i migranti». No, non è il titolo di un film (anche se alla Mostra ci sono una quindicina di variazioni cinematografiche sul tema) ma quello di un appello, firmato tra gli altri da Valerio Mastandrea, Elio Germano, Marco Paolini, Giuseppe Battiston, Marco Tullio Giordana, con cui «noi registi, attori, produttori e artisti del mondo del cinema vogliamo lanciare un messaggio all’opinione pubblica e alle istituzioni, per contribuire alla costruzione di una società meno soggetta a chiusure e derive xenofobe e più preparata a comprendere i flussi di immigrazione e a dialogare con i nuovi cittadini». Concetto universali con cui è difficile non essere d’accordo. Ma poi, nella giornata che ospita Cose dell’altro mondo di Francesco Patierno, il film-caso della Mostra (interpretato - guarda un po’ - proprio da Valerio Mastandrea il più attivo nella diffusione dell’appello e nella chiamata a raccolta dei colleghi) accusato dalla Lega di rappresentare i veneti come dei «razzistelli», ecco che il testo completo dell’appello snocciola ben sei punti come un vero e proprio programma politico: 1. S’intensifichino gli sforzi a livello internazionale per ridurre l'eccidio intollerabile di profughi in fuga dalla Libia; 2. Sia concessa ai profughi protezione umanitaria; 3. Non si replichi la politica dei respingimenti; 4. Abolizione del reato di clandestinità e blocco del prolungamento a 18 mesi della detenzione nei Cie; 5. Venga studiato un programma di diffusione culturale e sociale di pratiche di accoglienza e integrazione; 6. Venga riconosciuta la piena cittadinanza ai figli d’immigrati nati in Italia.
Intanto ieri sera è stato proiettato in anteprima Cose dell’altro mondo, presentato nella sezione «Controcampo Italiano» e da oggi nelle sale distribuito da Medusa, che tratta l’immigrazione con i toni grotteschi della commedia con il protagonista Golfetto, un industriale e mattatore di una tv privata (interpretato da un istrionico Diego Abatantuono), che si diverte a mettere in scena un teatrino razzista in cui si augura che gli immigrati scompaiono. E nel film, girato con polemiche a Treviso (città peraltro già indicata dalla Caritas come la migliore in Italia in fatto d’integrazione) e remake del messicano Un día sin mexicanos di Sergio Arau (il secondo film di maggiore incasso in quel paese), un bel giorno magicamente tutti gli immigrati scompaiono gettando il paese nel caos: fabbriche ferme, niente badanti, infermiere, prostitute...

Alla fine lo stesso Abatantuono (la cui figura per molti s’ispira a quella del battagliero imprenditore veneto Giorgio Panto - e infatti il figlio aveva minacciato querela - proprietario anche della tv Antenna 3 morto in un incidente aereo nel 2006 proprio qui, nei cieli della laguna veneziana) lancerà un accorato appello per il loro ritorno. Risate e applausi. Bene, bravi, bis. Ora però provate anche a immaginare un’Italia in cui scompaia il Nord-Est «razzistello», motore della nostra economia. L’happy end ce lo scordiamo.

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