In Abruzzo gli angeli delle macerie venuti a costruire l'Italia del futuro

Tra i campi degli sfollati spunta una gioventù che ricorda i volontari dell’alluvione di Firenze. Una generazione che sembrava sparita, oscurata da quella dei reality

In Abruzzo gli angeli delle macerie venuti a costruire l'Italia del futuro

nostro inviato a L’Aquila

Arrivano alla spicciolata, senza dare nell’occhio, fregandosene altamente degli «sconsigli» della Protezione civile. I professionisti del cordoglio e della tragedia dicono che temono la confusione, il pressappochismo dei dilettanti, il caos per troppo buon cuore dei volontari non «embedded», ovvero non inquadrati almeno in una onlus o in una ong. E un po’ certo è vero. Però è anche vero che qui gioca un filo di vanità; e se uno ha una jeep pazzesca, una tuta arancione nuova fiammante, una fichissima polo blu bordata di tricolore, e tutto un ambaradan di logistica da paura da squadernare sotto gli occhi degli inviati dell’Asahi Shinbun, quotidiano giapponese, e della Bbc, e perfino dei giornalisti di Buenos Aires, ed è dai tempi del terremoto in Umbria che non vede uno straccio di telecamera: dai, poi non ha voglia di farsi «impallare» da un pischello qualsiasi.

Siamo seri. Uno come Giulio Allegretti, per esempio: coi suoi bravi orecchini d’ordinanza e il piercing al labbro, la chitarra a tracolla e la felpa nera. Lo so, viene voglia di tirargli una sberla, a uno così, pregandolo di farsi da parte. Lui e la sua ragazza, Azzurra Taraburelli, biondina ventiduenne carina e un po’ rivoluzionaria. Lui, 23 anni, studente di Belle Arti (aspirante pittore, figurarsi). Lei aspirante attrice. Romani. Bene: si sappia che lo scrivente, sulle prime, è stato vittima di un deplorevole pregiudizio; ma che dopo aver chiacchierato un po’ con i due, e gli altri che sopraggiungono in queste ore da tutta Italia, e son già dozzine su dozzine, si è ritirato scappellandosi idealmente di fronte a questi ragazzi che forse non lo sanno neanche. Ma brancicando un po’ al buio stanno disegnando (ridisegnando?) un’Italia che pensavamo di non rivedere tanto presto: così bella, forte, positiva, solidale, compatta.

Il volto giovane di un popolo che nelle avversità si riscopre nazione, e alle fanfaluche della politica fa marameo. Giovani. Arrivano a L’Aquila con lo stesso spirito di quelli che accorsero a Firenze nel 1966, dopo l’alluvione. Solo che allora nessuno si stupì più di tanto. Erano giovani, semplicemente: dunque idealisti per principio. Avevano entusiasmo, energia da spendere, e perfino una visione romantica della vita, se vogliamo. Mica come quelli di oggi, che sembrano precari anche nelle emozioni, precari nei sogni e nelle aspettative. La generazione dei senza ideologie, si era detto; orbi di ideali e perfino di idee... Fottuti dalla società dei consumi, abulici e svogliati, individualisti e allo stesso tempo domati fino alla gregarietà da una Tv livellatrice che se deve proporre un ideale di ragazzo o di ragazza, allora è uno di quei piagnoni/piagnone col ciuffo su un occhio veicolati da certi polpettoni pomeridiani che vanno per la maggiore.

Poi si scatena il terremoto in Abruzzo, e dalle crepe di quest’Italia vecchia e un po’ sconnessa, tra le tende blu che ricoprono la vecchia pista d’atletica della Piazza d’Armi di questa città che sta in piedi (quella che sta in piedi) come un savoiardo inzuppato, salta fuori una gioventù che sembrava missing. La stessa che su Facebook propone di devolvere il montepremi del Superenalotto, di quasi 40 milioni di euro, alle popolazioni d’Abruzzo. La stessa che ha risposto con entusiasmo all’appello del ministro della Gioventù Giorgia Meloni, e alla fine ha deciso di riporre il sacco a pelo e di aspettare il proprio turno, quando e se verrà chiamata. La Meloni propone di donare un po’ di se stessi e del proprio tempo, diventando protagonisti della ricostruzione che verrà, quella post emergenza, la più difficile.

È nata così l’idea di mettere in contatto gli aspiranti volontari con le associazioni aderenti al Forum Nazionale Giovani che già lavorano a fianco della Protezione civile. C’è un modulo elettronico da riempire. Riempitelo, dice la Meloni. Se c’è bisogno vi chiameranno. Bene, un’ora dopo che l'appello era stato lanciato a Mattino 5, c’erano già mille adesioni on line. E ora plaudono all’appello del ministro anche associazioni dichiaratamente di sinistra, come la Rete degli Studenti o l’Udu. Giulio e Azzurra, e tutti gli altri che ho incontrato al campo profughi allestito in piazza d’armi non son venuti a cercare pubblicità. Son venuti a dare una mano. Semplicemente. «Magari anche solo per leggere qualche favola ai bambini, e per distrarre la gente raccontando storie e rendendogli più lievi le giornate. Motivazioni politiche? Sì e no. Diciamo che la motivazione è quella di combattere l’inerzia e l’indifferenza», dice Allegra.

Intanto li hanno messi di corvée alla cucina da campo, a distribuire maccheroni. Loro: zitti e pedalare. Matteo Caretto, 20 anni, di Ostia, studente di Musicologia a Tor Vergata, non ha pensato neppure di portarsi un sacco a pelo. Ma alla stazione Termini, prima di imbarcarsi sul treno ha riempito uno zaino di spazzolini, carta igienica, biscotti e acqua minerale. Così, per gli altri. «Questa società propone come valore l’individualismo e il successo personale, la competizione e il benessere. Va bene, ma ai bisogni del prossimo chi ci pensa?», ragiona Matteo. Il discorso di un cattolico? «Ma va là - ride questo biondino che ha passato la mattinata a montar tende -. Né cattolico né comunista».

Lorenzo Gori, 24 anni, studente di filosofia a Firenze, aveva un impegno lunedì mattina: un esame di storia medievale. L’ha dato, ha preso 30 ed è venuto qui. Alessia Càndito, 26 anni, e Tiziana Migliati, 29, frequentano un master di giornalismo a Tor Vergata. Raccontano il terremoto con l’entusiasmo dei neofiti, con lo spirito di servizio di chi farà rivivere (ai lettori di Ultimas Noticias, giornale venezuelano, l’Alessia) le emozioni di un cronista «che ha l’onore, l’onere e il privilegio di vivere una pagina di storia». «Ci dicevano sbandati, demotivati, ancora vittime di certi steccati ideologici del passato. Bene. Questo è il momento di ritrovare quell’unità generazionale che ci hanno rimproverato di non avere». Rachele Brancatisano, ciociara, secondo anno di Lettere a Roma3. Con la sua amica Serena Pagnoni hanno messo in piedi un duo musicale: pop, folk, jazz. Verranno anche loro, giusto per dare una mano. E se gli sfollati avranno voglia di sentire una canzone o due, ci saranno anche quelle.

Ecco, è un piccolo spaccato di un’Italia bella. Anche un po’ commovente.

Ma forse dico così solo perché ho visto una vecchia, con un parasole di un color arancione sfacciato, che aveva avuto un piatto di maccheroni al sugo da una di queste volontarie. Allora si è alzata, artrite permettendo, ha posato il piatto per terra, ha abbracciato la ragazza e le ha detto: «Grazie». E insomma, sembrava una storia bella da raccontare. Tutto qui.

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