Luciano Gulli
Il braccio di ferro tra il presidente palestinese Abu Mazen e i capibastone di Hamas al governo continua. I toni si fanno più aspri, e le reciproche minacce sembrano quelli di un finale di partita i cui contorni sono aperti a tutte le sfumature della drammaticità. E dove la chiusura dei rubinetti finanziari da parte degli Stati Uniti e dellEuropa rischiano di trasformarsi nel detonatore di nuove, gravissime tensioni.
Ad alzare i toni della polemica ieri è stato lo stesso presidente Abu Mazen, che parlando da Ankara, dovera in visita ufficiale, ha ricordato che tra i suoi poteri cè sempre quello di sciogliere il governo, mandando a casa quelli di Hamas, e di indire nuove elezioni. Ci provi, dicono quelli di Hamas, e vedrà che genere di conseguenze gli apparecchieremo, a lui e alla sua «cricca» dellAnp.
Non è la prima volta che Mahmoud Abbas (alias Abu Mazen) condanna la linea intransigente di Hamas nei confronti di Israele. Ma non è senza significato che la ribalta scelta stavolta per mandare un altro avvertimento al governo di Haniyeh sia quella turca. Un po per il ruolo di traît dunion tra Medio Oriente ed Europa tradizionalmente esercitato da Ankara in ambito Nato, e un po per lalleanza strategica fra Turchia e Israele.
Al vertice delle preoccupazioni di Abu Mazen, naturalmente, cè la drammatica crisi di liquidità dellAnp. Di qui la richiesta, veicolata attraverso la Turchia, di un compromesso che consenta la ripresa degli aiuti finanziari allAutorità palestinese. La chiusura di Hamas nei confronti di Israele - con il rifiuto di riconoscere lo Stato ebraico e di rispettare gli impegni sottoscritti dallAnp - non fa gli interessi dei palestinesi, ha ribadito Abu Mazen. «Hamas deve prendere atto della realtà e aprire un dialogo con Israele: mi preoccupa il fatto che questa situazione possa trasformarsi in un prossimo futuro in una tragedia», ha continuato il presidente dimezzato, mostrando ancora una volta al mondo la sua (purtroppo inutile) buona volontà. Evocando lo spettro della fame, Abu Mazen ha aggiunto: «Senza gli aiuti internazionali non potremo resistere a lungo. Ad Hamas la scelta se sostenermi o no. Quando avrò trovato una strada percorribile per una soluzione con Israele la sottoporrò a un referendum. Sarà il popolo palestinese, che è al di sopra di Hamas e di tutti gli altri politici, a decidere il suo futuro».
Dura la reazione di Hamas; se il governo venisse licenziato «se ne andrebbe, ma non in silenzio: non riconosceremmo il regime politico palestinese, non parteciperemmo ad alcuna nuova elezione e rientreremmo in clandestinità senza aderire ad alcun impegno, alcuna tregua, non importa negoziata da chi. Lallontanamento dal potere avrebbe un prezzo molto alto per tutti. Speriamo che non si arrivi a tanto», ha dichiarato un alto dirigente dellala politica dellorganizzazione estremista.
In realtà, par di capire, quel che i moderati di Hamas chiedono è un po di tempo per lavorare ai fianchi gli irriducibili e arrivare a una soluzione di compromesso. Di qui la stizza di Ghazi Ahmad, portavoce dellesecutivo, che ricorda come Hamas è al potere da poche settimane e che, più che sollecitazioni e critiche, si aspetta dal presidente palestinese sostegno e protezione.
Il clima di rinnovata tensione tra i vertici dellAnp e il governo di Hamas nasce dalla decisione di Abu Mazen di porre il veto alla nomina proposta da Hamas di un capomandamento di Gaza a capo del dipartimento del ministero dellInterno che coordina le forze di sicurezza. Decisione che la settimana scorsa scatenò violenze di piazza nei Territori mettendo ancora una volta di fronte i militanti di opposte fazioni.
A gettare acqua sul fuoco, nel tentativo di raffreddare gli animi, è ancora una volta il premier di Hamas Ismail Hanyeh, che ieri pomeriggio ha lanciato da Gaza un appello alla calma «e al rispetto della legge». È anche un problema dimmagine, si sforza di inculcare Haniyeh nella testa dei suoi. E promette: «Imporremo lordine e la legge, e metteremo fine a tutte le azioni che danno una cattiva immagine dei palestinesi». Purché le azioni cui si intende metter fine non siano solo quelle degli avversari di Fatah.
Israele intanto incalza, ricordando ai nemici dallaltra parte del Muro che Israele «non aspetterà per sempre», e che in assenza di interlocutori credibili procederà unilateralmente (come da promessa elettorale) alla definizione dei confini di Israele. Ai duri di Hamas la scelta.
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