La nausea ci stringe tutti alla gola. A ondate successive, i contenuti delle intercettazioni si sono abbattuti sugli italiani rivelando mondi diversi ma simili di squallore, di volgarità, di avidità. Prima le telefonate da e per i furbetti del quartierino, poi le telefonate dello scandalo calcistico, adesso le telefonate del «giro» in cui si muoveva, senza nobiltà a dire il vero, Vittorio Emanuele di Savoia.
Proviamo molta amarezza - e forse anche un po di acre soddisfazione - per i risultati di questi colpi di sonda compiuti nel corpo della società italiana, di una certa società italiana. Detto tutto questo, e sottolineato linfimo livello delle frequentazioni cui si abbandonavano personaggi investiti di alte responsabilità e rivestiti di blasoni storici, bisogna pur osservare che una ricerca di costume e uninchiesta penale sono cose ben diverse.
Purtroppo gli esiti delle intercettazioni - promosse per accertare la verità su veri o presunti reati - si traducono nella divulgazione di fatti privati e di miserie personali. Fatti e miserie in molti casi deplorevoli, ma estranei allambito dei codici. È questo il punto delicato della questione. Le intercettazioni erano tutte necessarie? E quandanche lo siano state, la loro divulgazione, con notizie e pettegolezzi attinenti alla sfera intima delle persone, non è unoffesa al diritto, al buonsenso, alle regole elementari di una convivenza civile? Credo che - fatta eccezione per alcuni giustizialisti sfegatati e per politici che in ogni vicenda cercano sempre e comunque il danno della parte avversaria - la generalità dei cittadini avverta con turbamento il dilagare delle intercettazioni e la disinvoltura con cui vengono date in pasto ai mezzi dinformazione, ossia a tutti. Cè il rischio che si determini unondata di moralismo fasullo, di bigottismo interessato, in forza della quale limportante non è più il colpire le trasgressioni della legge, ma ladditare al pubblico ludibrio personaggi antipatici perché antipatici - è il caso di Vittorio Emanuele, sgradevole per natura - o divenuti antipatici in quanto baciati dalla notorietà, dal successo, dalla ricchezza, e poi sottoposti alla berlina intercettatoria. Magari per vicende che li vedono in posizione marginale, e che dal punto di vista penale non li coinvolgono.
A tutto questo va posto rimedio: le intercettazioni sono uno strumento dindagine fondamentale, ma occorre frenarne leccesso, occorre soprattutto impedire la loro spregiudicata divulgazione. È un punto che trova daccordo sia esponenti del centrodestra, sia esponenti del centrosinistra. Ma è il rimedio da qualcuno escogitato che non convince per niente. Lavvocato Calvi, parlamentare diessino, ha proposto una norma che consenta dinfliggere da sei mesi a quattro anni di carcere ai giornalisti che, infrangendo i divieti, diffondano il contenuto delle intercettazioni. Non credo dessere corporativo se affermo che la norma ipotizzata è implacabile con i giornalisti ma benevola con quegli operatori della giustizia - magistrati in primis - che sono allorigine dello scandalo intercettazioni: perché talvolta abusano di questo strumento dindagine e ne diffondono i contenuti. I giornalisti non si introducono con scasso negli uffici per trafugare carte e documenti, i giornalisti vengono in possesso di testi che dovrebbero rimanere segreti perché qualcuno li mette a loro disposizione.
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