Accuse choc contro la Francia «Ha lasciato morire i migranti»

Bombardiamo la Libia per difendere i civili e non sempre ci riusciamo, come lamentano a Misurata, ma sui clandestini che scelgono il mare per scappare verso l’Europa non è chiaro cosa combini la Nato. Il quotidiano inglese Guardian ha denunciato da Tripoli che un barcone zeppo di diseredati è stato lasciato in balia delle onde dalla flotta alleata. Solo 9 sono sopravissuti e 63 hanno perso la vita, compresi due bimbi di pochi mesi. La Nato smentisce annunciando che invece di disgraziati in fuga in mezzo al mare ne ha salvati 500. Se la denuncia del Guardian fosse vera, anche solo in parte, bisognerebbe chiedersi se esistono civili di serie A e di serie B. I clandestini via mare, pure loro vittime del conflitto, evidentemente non verrebbero considerati abbastanza «civili», come quelli assediati a Misurata.
Da quando sono iniziati i bombardamenti, il colonnello Gheddafi, come aveva più volte annunciato, ha aperto le porte all’«invasione» dell’Europa con gli sbarchi a Lampedusa, che partono dalle coste libiche.
Il giornale inglese rispolvera la storia di un «barcone fantasma» salpato dalla Libia il 25 marzo scorso. A bordo c’erano 72 disgraziati provenienti da Etiopia, Eritrea, Nigeria, Ghana e Sudan. Le donne erano una ventina con due bambini piccoli, uno dei quali aveva solo un anno. Dopo 18 ore in mare, verso Lampedusa, l’imbarcazione perde carburante.
Secondo il racconto dei sopravissuti è allora che un elicottero militare, non certo libico, sorvola il barcone. I piloti lanciano bottiglie d’acqua, biscotti e generi di sopravvivenza. Poi si sbracciano per indicare che i soccorsi arriveranno presto. Sul velivolo c’è scritto «army», come per gli elicotteri inglesi. I soccorsi non arrivano e il barcone ha solo venti litri di carburante rimanenti. Il 27 marzo il comandante del barcone decide di proseguire, ma la bagnarola si pianta in mezzo al mare e va ala deriva per 16 giorni.
«Avevamo finito carburante, acqua e cibo» racconta al Guardian, Abu Kurke, un etiope di 24 anni sopravissuto. Fra il 29 e il 30 marzo la barca alla deriva avrebbe incrociato una portaerei alleata. Due caccia si alzano in volo e passano radenti sopra i disperati che alzano verso il cielo i bambini piccoli per far capire che hanno bisogno d’aiuto. Non vengono soccorsi. Secondo il Guardian la portaerei era la francese Charles de Gaulle. Parigi smentisce seccamente: «La portaerei e nessuna unità navale francese è stata in contato con il tipo di imbarcazione» dei clandestini. La Nato informa che nello schieramento alleato c’era l’italiana Garibaldi, ma smentisce qualsiasi omissione di soccorso. Anzi da Bruxelles spiegano che negli stessi giorni unità alleate hanno aiutato 500 migranti su due barconi in difficoltà.
I sopravvissuti dell’odissea insistono e trovano una sponda in padre Moses Zerai, il sacerdote eritreo che vive a Roma e si occupa dei rifugiati e che era stato chiamato più volte dal barcone fantasma. Il religioso informa la Guardia costiera italiana, che a sua volta allerta le nostre unità e anche l’isola di Malta. I maltesi sostengono di non saperne nulla, ma forse il barcone alla deriva era ancora lontano. Difficilmente, però, la flotta alleata, che doveva bloccare armi o rifornimenti per la Libia, si fa sfuggire qualcosa in quella zona del Mediterraneo. «Quella gente ha chiesto aiuto, io stesso ho chiesto più volte che qualcuno portasse soccorso. Nessuno ha fatto niente per giorni e ora non può passare la logica dello scaricabarile», ha dichiarato padre Zerai a Radio 24.
Dopo aver incrociato la portaerei i dannati del barcone cominciano a spegnersi come mosche nel giro di dieci giorni. «Avevamo salvato una bottiglia di acqua per i bambini dopo la morte dei loro genitori, ma poi se ne sono andati pure loro», racconta Kurke. I corpi senza vita venivano gettati in acqua e le onde ne hanno restituiti alcuni. Nello stesso periodo il vescovo di Tripoli, Giovanni Martinelli, aveva confermato a il Giornale che erano stati trovati dieci cadaveri di migranti africani sulle coste nei pressi di Tripoli «ma giungono notizie di molti più corpi vicino a Qarabulli», uno dei porti di partenza dei clandestini.
Il barcone resta alla deriva per 16 giorni e solo il 10 aprile tocca di nuovo terra vicino a Zeltan, nei pressi di Misurata assediata dai governativi. A bordo sono rimaste solo 11 persone. Due muoiono nel giro di poche ore e solo 9 sopravvivono. La polizia sul primo momento li arresta, ma poi li lascia andare. Oggi sono ospite di un etiopico a Tripoli ed in gran parte vogliono ritentare la via del mare.
La Nato ha respinto la ricostruzione del Guardian sostenendo che le accuse secondo cui «una portaerei della Nato intercettò e poi ignorò l’imbarcazione in difficoltà sono sbagliate». Il 31 marzo, secondo il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, erano sbarcati a Lampedusa «2.000 profughi arrivati dalla Libia», che evidentemente sono passati sotto il naso della flotta alleata.


Il vero problema è che le navi militari non possono certo ributtarli indietro verso le coste libiche, ma è una grossa grana prestare soccorso, come prevede la legge del mare, nel bel mezzo di un conflitto, per di più impantanato. Un motivo in più per chiederci se aveva veramente senso infilarci nel guazzabuglio della guerra civile libica.
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