
La società e la politica Usa sono da sempre legati alla violenza. Sono un Paese nato dalla rivoluzione contro l'impero britannico, ma soprattutto un Paese che ha cementato la sua storia intorno alla violenza. Quella del West, strappato ai nativi e alla natura selvaggia nel sangue e quella più politica che punteggia la sua storia, dalla guerra di secessione fino alle rivolte razziali e attivisti uccisi o aggrediti nel corso del Novecento. La morte di Charlie Kirk, però, si inserisce al culmine di una stagione ancora più complicata, in particolare nell'ultimo anno, con due tentativi di assassinio contro Donald Trump, l'attentato incendiario contro il governatore dem della Pennsylvania Josh Shapiro e la morte di una deputata dem del Minnesota.
Una violenza in aumento: cosa dicono i dati
A fotografare una vera e propria escalation sono i dati, nudi e crudi, di questa violenza. A fine agosto, qualche settimana prima dell'agguato contro Kirk, Michael Jensen, direttore del National Consortium for the Study of Terrorism and Responses to Terrorism (START) dell'Università del Maryland, ha messo insieme un po' di dati, in particolare confrontandoli col 2024, mettendo insieme un quadro inquietante. Secondo l'istituto i cosiddetti atti T2V (atti violenti di terrorismo che minacciano la vita o infrastrutture critiche, violano la legge penale e sono pianificati per intimidire, influenzare od ottenere visibilità) nei primi mesi del 2025 sono stati 523 e hanno provocato ben 96 morti e 329 feriti. Tutti questi episodi sono stati registrati in oltre 330 città americane e hanno risparmiato solo due stati, il Montana e il Wyoming.
Nello stesso periodo del 2024 questi atti T2V erano stati 375, quindi in un solo anno c'è stato un aumento del 39,5%. Ma ad aumentare non è solo il numero complessivo di questi episodi, a crescere sono stati anche quelli letali, aumentati del 50,8%, passando da 195 a 294. Indici in aumento anche per i morti (+28%) e feriti (+115%). Ultimo punto, non meno banale, è cresciuto del 187,5% il numero di attacchi con molte vittime, eventi che di solito ricadono all'interno di sparatorie di massa.
L'aumento del terrorismo e politici nel mirino
Lo START ha anche diviso un po' questi eventi e si scoprono cose interessanti. Ad esempio che gli aumenti di questi eventi violenti non sono generalizzati ma hanno dei picchi in alcuni ambiti specifici. Ad esempio ben 150 episodi sono stati inquadrati come atti di terrorismo, l'85,5%. E ovviamente è a questi atti che si collega anche il maggior aumento di vittime. I morti, addirittura, sono cresciuti del 343%. Ma chi sono gli obbiettivi. Anche in questo caso c'è un dato interessante: ad essere presi di mira sono in particolare personale governativo, o strutture legate al governo.
Ma c'è un altro dato, molto importante, che dimostra un momento di inquietante effervescenza: tra tutti gli atti registrati nel 2025 è difficile individuare, tra gli autori, un'ideologia dominante, ma anzi si sparpaglia, con qualche eccezione in un vasto spettro di posizioni:
- 32 hanno riguardato episodi di antisemitismo
- 20 si sono scagliati contro agenti impegnati in operazioni di contenimento dell'immigrazione
- 12 hanno colpito manifestanti pacifici che sfilavano contro l'amministrazione Trump
- 21 (e questo è un dato da tenere a mente) hanno colpito politici e legislatori repubblicani
- 10 hanno colpito politici e legislatori democratici
- 22 hanno colpito la comunità gay
- 7 hanno colpito la comunità musulmana
- 5 avevano un'ispirazione legata a organizzazioni terroristiche straniere
Un quadro che Jensen definisce "preoccupante e che suggerisce segnali di allarme di crescenti disordini civili". Le indagini sul presunto killer Tyler Robinson dovranno appurare la sua eventuale radicalizzazione, un processo complesso dato che l'Fbi fa sapere che non sta collaborando. In ogni caso il primo effetto tangibile è un maggiore terrore tra attivisti e politici, che cancellano o rimandano eventi pubblici, e anche una maggiore contrapposizione con il mondo conservatore, Trump in testa, sul piede di guerra pronto a un giro di vite in materia di contrasto al terrorismo interno di matrice liberal.
Luke Baumgartner, ricercatore alla George Washington University del programma sull'estremismo, ha evidenziato come ci sia un cambio di inerzia nella violenza. "Solitamente la violenza politica è comunemente legata ad attori dell'estrema destra", ha raccontato al Guardian, "ma oggi gli attori violenti sono molto più dispersi ideologicamente e non aderiscono strettamente a un'unica ideologia".
Un contesto deteriorato
Lo scenario attuale, dicono gli esperti, somiglia molto a quello esplosivo di fine anni '60 con gli omicidi di Martin Luther King Jr e Robert Kennedy, ma il problema è il nuovo contesto in cui questa violenza si crea: una disponibilità sempre più diffusa di armi da fuoco, la proliferazione di teorie cospirative e l'effetto moltiplicatore dei social media che amplificano comportamenti in camere d'eco sempre più ristrette.
Ma oltre l'effetto deleterio dei social c'è molto altro. L'aumento della violenza politica si lega ad altri fenomeni più politici. Il primo riguarda la crescente insoddisfazione degli americani nei confronti del governo, la guerra sempre più aperta tra i due partiti che si percepiscono non più come nemici piuttosto che soggetti costretti a collaborare e di riflesso minano ogni residua fiducia dei cittadini nelle istituzioni. Il secondo punto, legato al precedente, riguarda la "disumanizzazione" dell'avversario. Come ha ricordato la politologa Lilliana Mason della Johns Hopkins University al New Yorker, una serie di ricerche ha mostrato un aumento dei livelli di disimpegno morale. I numeri raccolti dalle ricerche mostrano che una quota tra il 20 e 40% degli americani tende ad affermare che i membri del partito opposto meritano di essere trattati come animali, una situazione che rende agguati, stragi e omicidi più probabili.
Non a caso anche le semplici minacce rivolte ai parlamentati sono aumentate a livelli vertiginosi. Secondo i dati della Us Capitol Police nel 2017 erano 3.939, mentre l'anno scorso sono arrivate a 9.474. Matt Dallek, storico della George Washington University ha ammesso candidamente che per trovare un simile livello di minacce e atti di violenza fisica bisogna tornare all'era rpe-Guerra di secessione. Non solo. Anche il rapporto degli americani con questa violenza sta cambiando e sta passando attraverso un processo di assuefazione.
I media parlano di un agguato nei primissimi giorni e in pochissimo tempo la notizia scompare dai radar, un meccanismo che finisce con l'alimentare anche la stessa "disumanizzazione" denunciata da Mason, in una spirare pericolosa di difficile soluzione.