Quel naso schiacciato fu un simbolo di gloriosa maestà, quel modo di stare sul quadrato, attento, preciso, mai banale, scientifico, enigmatico, fu sempre la dimostrazione del suo quarto di nobiltà pugilistica. Duilio Loi se nè andato lasciando dietro di sé unimmagine scolpita. Il tempo non lha fatta scolorire. Non cè stata nebbia di Milano che labbia avvolto. Certo, è stato più bravo sul ring. Stavolta non gli è riuscito di schivare i colpi traditori del morbo di Alzheimer: impossibile. La vita combina scherzi atroci: un pugile così lucido comera lui sul ring, ridotto a quel saltar di lampadine che il morbo produce nel cervello. Loi rappresentava unItalia che usciva dalla guerra, fu simbolo di unepoca. Un idolo. Sapeva che la vita non era facile, ma se la rese gradevole. Tutto cominciò da spensierato bulletto che, ad Albaro, si allenava ai tuffi dal trampolino, si lanciava sulla pista di pattinaggio a rotelle, tendeva agguati alle ausiliarie inglesi per prenderle a pizzicotti. Si portava dentro lorgoglio dei sardi, la forza dei triestini. Loi, cognome sardo che spesso i giornali storpiavano in Loy, gli veniva da Vittorio, marinaio, capomacchinista iscritto ai libri di bordo del Lloyd triestino. Appunto a Trieste, Vittorio conobbe Anna Rivolti che sposò nel 1925. E quattro anni dopo nacque Duilio, nome preso a prestito da una famosa nave impiegata contro la flotta austriaca. Quando una malattia uccise Bonaria, la sorella maggiore, la famiglia si trasferì da Trieste a Genova. Vittorio morì sulla sua nave, squarciata da un siluro inglese al largo di Pantelleria.
Duilio imparò larte nella palestra pugilistica di Dario Bensi, suo padre spirituale nel pugilato e non solo. Bensi morì povero, ricco soltanto di quel milione che Duilio gli procurò partecipando alla «Fiera dei sogni» di Mike Bongiorno. Sul ring, Loi fu il più intrigante monello pugilistico degli anni 50 - 60. Jorgen Johanssen, il danese che prima lo sconfisse, poi gli lasciò il titolo europeo dei leggeri (a Milano il 6 febbraio 1954) lo definì una ballerina della Scala. Non voleva essere un complimento, ma fu un altro marchio doc. Loi imparò a non prenderle, prima di darle. Intelligente e ragionatore, attento a non sprecare niente, difficile metterlo a terra, faticoso colpirlo. Il sinistro al fegato era il colpo preferito: ne rifilò cinque a Carlos Ortiz, il portoricano contro il quale si giocò per tre volte la corona mondiale dei welter juniors. Difficile batterlo, in 126 incontri ne perse solo tre: il primo europeo, il primo match mondiale con Carlos Ortiz a San Francisco e il secondo con Eddie Perkins a Milano. Non lasciò mai impunite le sconfitte, subì solo due conteggi.
Milano fu la sua terra delloro e ne venne contraccambiata.
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