da Milano
Unaltra croce si erge nello sterminato cimitero dei martiri rock: se nè andato Nikki Sudden, cinquantanni, una fama iperromantica di «ultimo eroe del rocknroll» o meglio di «ultimo bandito», come lui stesso aveva deciso dintitolare lautobiografia che stava scrivendo.
Inglese, classe 1956, Nikki era figlio del gran vivaio creativo degli anni Settanta e artisti più famosi di lui ne avevano ben presto onorato il talento. Tantè che, nei suoi album, appaiono collaboratori «prestati» dai Rem, dai Waterboys, addirittura dai Faces, come Ian McLagan e dai Rolling Stones, come Mick Taylor: accomunati dal riconoscere allispirazione accesa e lutulenta di Sudden un momento fondante del dopo-punk internazionale, condiviso con gruppi storici come Sonic Youth, Pavement e appunto Rem. A tanto Nikki era giunto dopo aver fondato nel 73, col fratello Epic Soundtracks, gli Swell Maps, garage-band che, nella mitologia freak anni Settanta, aveva ben presto rappresentato un evento di culto. Il carattere bohèmien di Nikki, gli epilettici spunti punk, la vena anarchica e schizoide, lintreccio di furori orgiastici, psichedelia, free jazz e rumorismo avevano suscitato attenzione su quelle lunghe suite dove strumenti giocattolo, cacofonie, umorismo e un gusto fervido per leresia si intrecciavano in un bruciante balance di vaudeville rock, provocazione e informalità. Read about seymour e Dresden style segnarono nel 78 il debutto su vinile, confermato lanno dopo da A trip to Marineville, che faceva voluttuosamente a brandelli gli stereotipi della forma-canzone. A metà dei neghittosi anni Ottanta Sudden si converte, ovviamente alla sua maniera psicotica e decadente, al culto di Woody Guthrie, Bob Dylan e Neil Young, producendosi in un poeticismo da dandy tenebroso e implicitamente ribadendo, insieme alla feconda ribalderia del proprio talento, una certa incapacità di dare ad essa coerenza e compimento.
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