Addio a Nykvist, maestro della luce per Ingmar Bergman e Woody Allen

Scomparso a 84 anni il direttore della fotografia premio Oscar per «Sussurri e grida» e «Fanny e Alexander»

Maurizio Cabona

Quasi sempre i premi sono intempestivi: arrivano molto tempo dopo averli meritati, quando ormai è il premiato che dà lustro al premio. Morto ieri a Stoccolma a quasi 84 anni e con 120 film alle spalle, Sven Nykvist aveva dovuto attendere gli Oscar per la fotografia fino a Sussurri e grida (1973) e a Fanny e Alexander (1982), cioè fino a quando l'Academy s'era accorta di quanto gli dovesse il cinema di Ingmar Bergman. Invece, come regista, Nykvist non sarebbe andato oltre la nomination per Il bue (1991).
A quel punto, Nykvist era però una (relativa) celebrità. E Celebrity si sarebbe intitolato l'ultimo film di regista famoso (Woody Allen) le cui immagini recassero l'impronta di Nykvist. Era ormai il 1999 e il film era alla Mostra di Venezia, dove l'attenzione era tutta per una ragazza sudafricana che nel film si vedeva pochi minuti, ma che, prima di esso, aveva mostrato i glutei sul molo di Portofino in uno spot: Charlize Theron.
Per Celebrity le immagini di Nykvist erano tornate in bianco e nero, quello che le tv relegano nelle mattine e nei primi pomeriggi d'estate o nelle notti d'inverno. Col risultato che chi ha meno di sessant'anni e non è cinefilo ha visto solo i film dove il ruolo di Nykvist era meno rilevante e più tecnico. Cioè non i film di Bergman, ma nemmeno quelli di Allen (oltre a Celebrity, Crimini e misfatti, New York Stories, Un’altra donna, che sono a colori), Louis Malle (Pretty Baby e Luna nera), Roman Polansky (L'inquilino del terzo piano), Philip Kaufman (L'insostenibile leggerezza dell'essere), ma i meno ambiziosi Qualcosa di cui... sparlare e Buon compleanno, Mister Grape di Lasse Hallström, Agenzia salvagente e Insonnia d'amore di Nora Ephron, Only You di Norman Jewison, Il postino suona sempre due volte di Bob Rafelson.
Nykvist è morto dopo essere stato colpito fisicamente da afasia e, metafisicamente, da invisibilità, il peggio che possa accadere a un direttore della fotografia. Occorrono infatti ormai voglia e denaro per trovare i suoi film importanti - che non vuol dire film leggeri - nei dvd (Bim) della bella collana bergmaniana presentata da Piera De Tassis: La fontana della vergine, Come in uno specchio, Luci d'inverno, Il silenzio, A proposito di tutte queste... signore, Persona, L'ora del lupo, Il rito, poi quelli a colori, come L'uovo del serpente, Un mondo di marionette, Dopo la prova, Sinfonia d'autunno, oltre ai due film che ebbero l'Oscar.
In quei chiaroscuri, sfumati nel grigio o contrastati come nell'uso espressionista, affiora l'uso della luce come senso del tempo.


Ma, anche quando Nykvist ha dovuto ricorrere ai colori, ha saputo dare in un istante l'orrore di un'epoca, come quella di Weimar: ineffabile ma ferma spiegazione - non giustificazione - della militanza di Bergman nella Hitlerjugend, filo conduttore dell'Uovo del serpente. O ha saputo rendere, riprendendo due volti, egoismo d'una vecchia madre e solitudine d'una matura figlia, come in Sinfonia d'autunno, dove Ingmar Bergman dirigeva Ingrid Bergman per la prima e ultima volta.

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