Los Angeles - Il regista di Hollywood Sydney Pollack, che aveva vinto sette Oscar con l’epica storia d’amore di "La mia Africa" e raccolto grandi consensi per "Tootsie" e "Michael Clayton", è morto ieri dopo avere combattuto contro un cancro. Lo ha detto la sua portavoce. Aveva 73 anni, era nato il 1 luglio 1934 a Lafayette, nell’Indiana. Pollack è morto nella sua casa sulla costa del Pacifico in un sobborgo di Los Angeles verso le cinque del pomeriggio, circondato dai suoi familiari. La portavoce Leslee Dart ha detto che a Pollack era stato diagnosticato un tumore 10 mesi fa, ma i medici non sono mai stati in grado di determinare l’origine della malattia. Negli ultimi anni Pollack si era dedicato alla produzione e alla recitazione e ultimamente era ancora in tabellone a teatro con "Made of Honor". Una volta aveva definito la sua passione per la recitazione come "una scusa per spiare gli altri registi". Era tornato nell’orbita degli Oscar lo scorso anno, recitando una parte importante nel thriller legale "Michael Clayton", di cui è stato produttore, che vedeva protagonista George Clooney. Il suo trionfo è giunto nel 1985 con "La mia Africa", con Meryl Streep che interpretava una proprietaria di una piantagione di caffè in Kenya e Robert Redford nel ruolo di un avventuriero americano di cui lei si innamora. Il film aveva ottenuto 11 nomination agli Oscar e ne ha vinti sette, tra cui quelli a Pollack per la miglior regia e fotografia.
La sua opera Pollak è uno dei cineasti più inventivi della Nuova Hollywood, autore di capolavori di valore assoluto come "Questa ragazza è di tutti" (1966), "Non si uccidono così anche i cavalli?" (1969), "Yakuza" (1974), ma soprattutto "I tre giorni del condor" (1975), opera che narra gli intrighi della Cia ma nella quale è facile percepire il richiamo all’oscura vicenda del Watergate, di tre anni prima. Dopo varie nomination e qualche riconoscimento di contorno, coronò finalmente la propria carriera nell’86, quando conquistò ben sette premi Oscar per "La mia Africa" (1985), tra cui quelli per il migliore film e la migliore regia; il suo palmares complessivo resta comunque invidiabile, e comprende tra l’altro un Golden Globe, un paio di David di Donatello, un Nastro d’Argento a Venezia, una menzione speciale a Berlino.
Lo stile A quel tempo, nell’era reaganiana, Pollack aveva ormai gradatamente preso le distanze dal suo stile di denuncia e di analisi sociale, asciutto e visionario al tempo stesso, reso celebre tra gli addetti dall’artificio del "cerchio", suo marchio personalissimo, per convertirsi in abile artigiano del cinema popolare, confezionando veri e propri "blockbusters", non privi di pregio artistico e approfondimento politico, come "Diritto di cronaca" (1981) e "Tootsie" (1982): una propensione che in realtà lo animava fin dalle origini, e che era già emersa in maniera eccellente in "Come eravamo" (1973). Fu anche attore misurato e produttore lungimirante, capace di valorizzare il tirocinio giovanile in teatro prima e alla televisione poi; collaborò tra l’altro con Alfred Hitchcock ad alcuni episodi per il piccolo schermo della serie "Alfred Hitchcock presenta": dal grande maestro mutuò forse il gusto per i cammei personali nei propri film, che si concedeva peraltro con parsimonia. Nell’arco della sua vita Pollack seppe sempre fare tesoro dell’esperienza. Da ragazzo, figlio di un farmacista, avrebbe voluto fare il dentista; poi optò per il mondo dello spettacolo, e seguì le orme del fratello Bernie, costumista, trasferendosi a New York dalla natia provincia e studiando recitazione alla "Neighborhood Playhouse" sotto la guida del leggendario insegnante Samford Meisner.
La famiglia Lui stesso insegnò per parecchi anni, inframmezzati da un bienno sotto le armi, e in quel periodo incontrò colei che sarebbe diventata sua moglie, Claire Grisworld. La coppia avrebbe avuto tre figli tra i quali Steven, il primogenito, perito tragicamente nel ’93 in un incidente aereo in California. Già dagli inizi Pollack cercò e trovò la collaborazione con i migliori attori: nelle diverse fasi della sua evoluzione stilistica, infatti, fu sempre molto attento al lavoro degli interpreti, la cui importanza strategica per la riuscita di un’opera sapeva valutare meglio della maggior parte dei colleghi, lungi da qualsiasi tentazione divistica e dall’arroganza del creatore. Un orientamento mai tradito, come comprovarono la collaborazione con Robert Redford, già suo attore di riferimento, insieme al quale fu co-fondatore del "Sundance Institute", autentica istituzione del cinema americano svincolato dalle grandi majors; e con la "Film Foundation" di Martin Scorsese. Era anche un convinto sostenitore del Partito Democratico, scelta di campo che traspariva dal suo lavoro: un esempio tra tutti, "Il cavaliere elettrico" (1979) e il già citato "Non si uccidono così anche i cavali?".
Ironico e rilassato sul set, negli ultimi anni non esitò a fare la parodia di se stesso: come quando partecipava alla sit-com "Will & Grace", o quando apparve in una puntata del serial poliziesco "The Sopranos", prestando il volto a un ex medico incarcerato per aver sterminato la famiglia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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