ADESSO O MAI PIÙ

Cambiata la politica, cambierà lo Stato? In pochi mesi abbiamo assistito a una serie di svolte epocali, dalla sparizione dei comunisti dal Parlamento fino alla nascita del partito unico del centrodestra. Il Paese, grazie anche a quella che Fini ha definito la «lucida follia» di Berlusconi, ha compiuto passi in avanti fondamentali per uscire dalla storia del Novecento, per allontanarsi definitivamente dai residui del muro di Berlino e dalle scorie di una guerra civile durata fin troppo a lungo. Forse siamo entrati nel XXI secolo dei partiti. Riusciremo a entrare anche nel XXI secolo delle istituzioni?
Di riforma dello Stato si parla da anni. La prima commissione per cambiare la Costituzione venne istituita in Parlamento nel 1983. Prendeva il nome dal deputato Aldo Bozzi. Nel 1983, tanto per avere un’idea, in Italia c’era il quinto governo Fanfani, Ronald Reagan lanciava lo scudo spaziale, in Urss governava Andropov e a Sanremo debuttò, arrivando ultimo, un cantante sconosciuto ai più, Vasco Rossi. La nostra Carta Costituzionale aveva 35 anni, praticamente era una signorina, eppure alle Camere giacevano già 147 proposte di revisione.
Da allora non si è mai smesso di parlare di riforme istituzionali. Infiniti dibattiti, articoli e proposte, ripetute commissioni parlamentari (la De Mita-Iotti del ’92 e la famosa Bicamerale di D’Alema). Di fatto, però, nulla è cambiato. Gli anni sono passati, i tempi sono cambiati. La politica si è trasformata. L’organizzazione delle istituzioni, invece, è rimasta la stessa del 1948, quando il telefono non arrivava nemmeno in tutte le città italiane e nell’intero Paese circolavano appena 184mila auto, anziché i 35 milioni di oggi. Ora è tutto più veloce: muoversi, viaggiare, comunicare, fare affari. Anche i disastri economici, come abbiamo visto, si diffondono più rapidamente. L’unico che resta immobile, anchilosato ai disegni di sessant’anni fa è l’ordinamento dello Stato. Possibile?
Rispettare la Costituzione, non significa mummificarla. E neppure trasformarla in un mausoleo o in tappetino per patetiche cerimonie di giuramento. La Costituzione deve essere viva, adatta ai tempi. La sinistra lo sa, altrimenti non avrebbe voluto e presieduto, già dieci anni fa, una commissione parlamentare per riformarla. Adesso l’opposizione si trova davanti al bivio: ripetere l’errore che fece all’origine del berlusconismo, cioè non capire nulla di quello che sta succedendo e liquidare la novità del Pdl come un «copia e incolla» o un «ritorno al passato», come hanno fatto ieri i giornali della sinistra. Oppure accettare la sfida, ritrovare lo spirito veltroniano del Lingotto e partecipare alla nuova stagione costituente. Potrebbe essere l’occasione che il Paese aspetta da sempre.
Per quanto riguarda il centrodestra, comunque, non sono ammessi tentennamenti. Sono più di trent’anni che si parla di riforma delle istituzioni. Abbiamo discusso, esaminato, dibattuto, convenuto, suggerito, sviscerato, abbiamo sperimentato fino in fondo i difetti del bicameralismo perfetto e sappiamo che dimezzare il numero dei parlamentari è semplicemente quello che tutti gli italiani vogliono. Ora è tempo di farlo. Ora è tempo di intervenire.

Ora bisogna andare avanti in modo spedito sul piano delle riforme istituzionali come spediti si è andati avanti su quello della riforma politica. Il congresso di questi giorni ha dimostrato che il treno del cambiamento, quando parte, può correre veloce. Tutti in carrozza, allora. Non ci manca neppure il presidente ferroviere.

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