S e le Olimpiadi sono ancora il biglietto da visita di una nazione, come tutti le descrivono quando cercano di acquisirne l'organizzazione, noi italiani abbiamo scelto il biglietto peggiore per presentarci al mondo. Ancora prima di cominciare, Torino 2006 può essere bonariamente definita una memorabile figuraccia internazionale. A un mese dal via, mentre Vip di vario spessore gironzolano per il Paese con la torcia in mano, esibendo una gioiosa attesa dell'evento che non ha alcun motivo d'essere gioiosa, ancora non sappiamo se i Giochi saranno disputati. Per la verità lo sappiamo benissimo: saranno regolarmente disputati. Ma è sul come li faremo disputare che dovremmo coltivare qualche sano pudore, aprendo magari un doveroso processo pubblico. Come li faremo disputare? Tra i tanti numeri che il solerte comitato organizzatore, meglio detto Toroc, esibisce nella circostanza, ne spicca uno che grida vendetta: il buco di 70 milioni d'euro. Una voragine che nessuno al momento sa come ripianare. Meglio, gli entusiasti promotori locali una soluzione l'avrebbero in mente da tempo, praticamente sin dall'inizio dell'avventura: le spese, tristi o allegre che siano, andrebbero coperte - anche se indirettamente, perché loro sono orgogliosamente «privati» - dallo Stato. Cioè da noi, e da chi se no?
Per fortuna, Tremonti ha detto no. Inevitabile l'unica via d'uscita, che toglie all'organizzatore la qualifica di privato: il commissario. Che sarebbe poi il tutore nominato dopo l'interdizione del soggetto, constatata la sua incapacità d'intendere e di volere.
Una cosa tristissima, queste Olimpiadi con le pezze al sedere. Una penosa storia che purtroppo suona familiare, nel costume italiano. Le cordate vogliono prendersi i grandi eventi, li esibiscono come imperdibili opportunità, preventivano il profitto, sbandierano l'affare, poi immancabilmente apparecchiano la tavola e si preparano alla grande abbuffata. Attaccarsi alla mammella dello Stato: questa l'idea manageriale. Capaci tutti.
Così, tanto per ripetere qualcosa di scontato: i soldi pubblici non bastano più per scuole, ospedali, anziani e handicappati. Cioè per le grandi necessità sociali di un Paese. Figuriamoci se possiamo buttarne in Giochi, tra l'altro con il fastidioso sospetto che qualcuno organizzi anche dei giochini. C'è una sola regola, nella sana amministrazione: le cose si fanno con le risorse che si hanno. E se non si hanno le risorse, non si fanno le cose. Lo Stato, questo Stato moderno che non riesce più a riemergere dai debiti consolidati, serve solo per coordinamenti, controlli, sostegni. Ma quanto a cassa, non va più considerato. Come non esistesse. Questo valga pure a titolo preventivo, vista la febbre dilagante per avere Europei del calcio e Olimpiadi vere. Patti chiari, amicizia lunga.
Tanti auguri al Toroc. Anche se ormai, davanti alle sue condizioni di salute, sarebbe più appropriato dire pace all'anima sua. Altro che guardare in cagnesco Tremonti.
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