Affreschi, targhe e vecchi cortili: Milano è più bella se la giri a piedi

Affreschi, targhe e vecchi cortili: Milano è più bella se la giri a piedi

Scoprire Milano passo dopo passo: non badare al traffico e alle auto ma camminare fra le dimore liberty dell'alta borghesia, ammirare antiche chiese che celano affreschi preziosi dimenticati, perdersi tra i parchi e i canali d'acqua in ricordo di un passato che non c’è più ma del quale ancora oggi si può ritrovare l'atmosfera. E che nasconde aneddoti, leggende e risvolti che aiutano a spiegare tanti risvolti della città di oggi.
«Milano è bella a piedi» di Franco Fava e Marilea Somarè (edizioni MilanoExpo, pagine 155, euro 10) è una guida che invita a godersi la città con calma, attraverso i luoghi e gli edifici di oggi confrontati con le immagini e i racconti di ieri. Perché Milano non è solo il Duomo, il Cenacolo o la Scala, come ricorda l'autore Franco Fava, scrittore milanese prematuramente scomparso e sensibile narratore delle tradizioni ambrosiane. Milano «è soprattutto altrove, il più delle volte oltre le spesse mura di sobri palazzi vieti ai più».
Così, andando a visitare Sant’Ambrogio, incapperete nella Colonna del Diavolo che tentò invano di sfidare il vescovo di Milano e finì imprigionato nella pietra. Mentre recandovi a Palazzo Marino potrete imbattervi nel fantasma della monaca di Monza, che nell'edificio abitò da fanciulla. Ma potrete anche avventurarvi sulle orme della tomba dei Re Magi, rievocare l'epopea dell’Art Nouveau tra i palazzi di corso Venezia, via Mozart e via dei Cappuccini, o ancora ritrovarvi nella Milano della Scapigliatura di parco Sempione, dove permangono i resti del Ponte delle sirenette (per i milanesi «sorelle Ghisini» perché fuse in ghisa) sopravvissuto all'interramento dei navigli.
La guida propone tre lunghi e piacevoli itinerari - arricchiti da mappe, immagini e fotografie d'epoca - che dal centro storico conducono verso i luoghi manzoniani di Renzo Tramaglino, per poi guidarci sulle orme dei grandi personaggi di Brera e Borgonuovo, o sulle tracce della Milano romana del Museo Archeologico, in corso Magenta. A due passi da qui, ecco apparire la splendida chiesa di San Maurizio, detta «la Cappella Sistina milanese», interamente decorata con affreschi di Bernardino Luini e della scuola lombarda cinquecentesca. Pagine dense di ricordi, episodi storici, aneddoti e leggende che si intensificano con lo scorrere dei capitoli e dei luoghi. Così il Palazzo Serbelloni di corso Venezia viene dipinto come il «salotto più ambito di Milano» dove si riuniva il fior fiore dell’intellighenzia meneghina, dai fratelli Verri a Cesare Beccaria, da Goldoni al Parini.
Mentre la bellissima chiesa affrescata di Sant'Antonio Abate, a pochi passi dall'Università Statale, viene ricordata soprattutto per il leggendario anacoreta egiziano del XIII secolo a cui era dedicata, e al quale era devoto lo stesso Gian Galeazzo Visconti. Al punto da concedere ai monaci del convento di allevare maiali, considerati sacri, e ricavare dal lardo di questi ultimi un prezioso balsamo in grado di guarire una brutta malattia della pelle, il cosiddetto «fuoco di Sant'Antonio».
Non lontano da qui, dietro la sede della Biblioteca Sormani, si può scorgere il meraviglioso giardino della Guastalla con l'ex collegio femminile, istituito nel 1557 a spese della contessa di Guastalla Luisa Torelli. La fondatrice era balzata alla ribalta della vita mondana poiché a soli 25 anni, prima di prendere i voti, aveva già alle spalle due matrimoni e si divertiva ad animare l’austera Milano spagnola con feste e amori turbolenti.
Dopo la conversione, che destò grande scalpore, si ritirò in convento e finanziò la costruzione della chiesa di San Paolo Converso e il Regio Collegio della Guastalla, al quale lasciò morendo il suo ingente patrimonio.
Un altro curioso aneddoto riguarda il monumento delle Cinque Giornate, grande obelisco con statue allegoriche realizzate da Giuseppe Grandi.

Tra queste, anche un leone in bronzo simbolo dell'irruento spirito di riscossa dei milanesi che l'artista modellò dal vero, chiudendo in gabbia un leone africano in carne e ossa acquistato ad Anversa.
Ma la bestia, ahimè, si trasformò ben presto in un mansueto animale domestico, e Grandi non riuscì mai con un simile modello a rendere l'adeguata fierezza nel pigro leone scolpito.

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