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Afghanistan, il grande gelo tra Obama e Karzai

Il pesce afghano puzza dalla testa. Il vicepresidente americano Joe Biden ne è convinto da almeno un anno. Iniziò tutto con una cena al palazzo di Kabul durante la quale Hamid Karzai gli ripeteva di non conoscere né droga né corruzione. Biden, a quel tempo a capo di una delegazione del Senato, non arrivò neppure alla frutta. Disgustato dai tentativi di negare l’evidenza si alzò dal tavolo e abbandonò gli sconcertati ospiti. Non fu una mossa da grande conoscitore delle regole dell’ospitalità afghana, ma il primo a farne le spese è oggi il presidente Hamid Karzai. L’icona del nuovo Afghanistan, il presidente portato al potere da Washington, viene oggi dipinto dai suoi alleati come la vera causa di tutti gli insuccessi. Biden lo ripete da dodici mesi e il resto della nuova amministrazione statunitense è già con lui. Per capirlo basta ascoltare le dichiarazioni che rimbalzano da Washington alle sale della conferenza sulla sicurezza di Monaco dove gli araldi di Obama tratteggiano le nuove strategie americana.
A Monaco Richard Holbrooke, inviato speciale della Casa Bianca in Afghanistan e Pakistan, ripete di non aver mai visto «un caos simile a quello ereditato da quelle parti». A Washington Hillary Clinton descrive l’Afghanistan come un «narco-Stato dissestato dalla diffusa corruzione e dalle limitate capacità dei suoi leader». Sulle pagine del New York Times alcuni anonimi funzionari della nuova amministrazione definiscono Karzai «un potenziale impedimento agli obiettivi americani».
Il presidente afghano, stanco, provato e secondo alcune voci al limite della sue capacità psicofisiche, non sembra voler venir a patti con la nuova amministrazione. La prima velata minaccia è quella di abbandonare l’alleato americano per rifugiarsi nelle braccia dei vecchi invasori russi. «Se non ci darete nuove armi e una forza aerea – avvertiva qualche giorno fa il presidente – andremo a cercarcele altrove». Quell’altrove sembra essere già lì. Nel corso di un incontro con i vecchi capi della resistenza anti-sovietica il presidente ha delineato chiaramente la possibilità di una più stretta alleanza con Mosca. Subito dopo l’ambasciatore Zamir Kabulov, già diplomatico a Kabul ai tempi dell’invasione, ha incominciato a far visita al Parlamento e al palazzo presidenziale.
L’altra sfida è partita da Monaco. Nel suo discorso il presidente afghano si è appellato ai talebani moderati chiedendo loro di rompere i legami con Al Qaida e di tornare nel Paese per avviare un progetto di riconciliazione nazionale. I talebani hanno già detto di non voler negoziare fino a quando le truppe straniere non avranno abbandonato il Paese, ma a Karzai poco importa. Con quella proposta dirompente e non concordata con gli alleati occidentali spera soprattutto di riconquistare i favori dell’opinione pubblica afghana in vista delle elezioni presidenziali del prossimo agosto.
La nuova amministrazione americana non sta comunque a guardare. A Monaco Joe Biden, dopo aver teso la mano alla Russia, ha avuto un incontro a quattr’occhi con il vice premier russo Sergei Ivanov. Ieri l’emissario del Cremlino ha risposto a quelle profferte annunciando di credere nella possibilità di «rivedere» i non facili rapporti tra i due Paesi. «Con i nuovi leader americani - ha detto Ivanov - è possibile costruire un nuovo rapporto: certo, tra Usa e Russia il diavolo si annida nei dettagli...

Ogni volta proviamo ad accordarci ed ogni volta qualcosa non funziona, ma quando Biden dice di voler premere il bottone e riaggiornare le nostre relazioni, noi siamo assolutamente d’accordo».

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