Afghanistan, nell’Unione si apre il terzo fronte

L’Onu chiede nuove truppe contro i talebani. I dipietristi: l’appello va ascoltato. Ma i dissidenti non mollano: niente diktat

Laura Cesaretti

da Roma

È tedesco, è un esponente dei Verdi, è l’inviato dell’Onu in Afghanistan. E ieri è tornato a ribadire quel che il governo dell’Unione preferirebbe non sentire: a Kabul servono rinforzi. «È esattamente ciò di cui abbiamo bisogno», ha detto Tom Koenigs riferendosi all’aumento di truppe preannunciato da Londra, «ne abbiamo bisogno dai britannici, dagli italiani e da tutti gli altri Paesi che forniscono truppe e anche da quelli che non ne forniscono». Perché solo così, spiega «si dà un chiaro messaggio ai Talebani che non vinceranno». E aggiunge un appello alla sinistra italiana: «Tirarsi indietro non è un’opzione».
Non è la prima volta che Koenigs ammonisce il governo italiano e tira le orecchie alle sue belle anime pacifiste, avvertendo che «ritirarsi oggi vorrebbe dire riconsegnare il Paese ai talebani». Si è offerto di dirlo anche in Parlamento, e il 13 luglio prossimo sarà ascoltato in commissione Esteri. La novità è che ieri l’appello di Koenigs ha fatto breccia nell’Unione: il presidente della commissione Difesa del Senato, Sergio De Gregorio, e il suo collega di partito Massimo Donadi, capogruppo dell’Italia dei Valori alla Camera, dicono che l’inviato Onu va ascoltato. Aprendo così un terzo fronte dentro il centrosinistra: l’ala radical che da Kabul se ne vorrebbe andare, il centro della coalizione che sa di dover restare ma cerca di renderlo più indolore possibile alla maggioranza, e ora l’ala «destra» che vuole rafforzare l’impegno militare. «L'appello dell'inviato delle Nazioni Unite - dice De Gregorio - determina la necessità di una ulteriore riflessione sull'impegno del nostro Paese». Le parole di Koenigs, incalza Donadi, «non possono restare inascoltate. L’Italia non può mancare ai suoi impegni e alla sua responsabilità nell'ambito di una missione». Ma se il capogruppo Idv si augura che «il senso di responsabilità» prevalga nell’Unione, permettendole di «raggiungere la compattezza e l’autonomia della maggioranza», e dunque di non dover dipendere per far passare il ddl sulle missioni dai voti di pezzi di Cdl, De Gregorio si appella invece «al buonsenso e alla responsabilità istituzionale di tutte le forze politiche, di qualunque schieramento, che abbiano a cuore la credibilità internazionale dell'Italia». Ben vengano gli apporti del centrodestra, dunque. Sull’argomento l’Unione è in fibrillazione: la sinistra radical chiede all’Ulivo di respingere le offerte di appoggio dell’Udc, che con il responsabile difesa Bosi parla esplicitamente di un voto che serva a «favorire larghe intese». Ma Piero Fassino si è ben guardato dal farlo, pur sollecitando l’ala pacifista a votare comunque sì al ddl. Il verde Bulgarelli, uno dei senatori dissidenti che hanno annunciato il proprio no, respinge il «diktat» del segretario ds e ribadisce la sua «indisponibilità». Ma ieri il prodiano Andrea Papini, membro della commissione Difesa che ha iniziato l’esame del ddl, si diceva «ottimista» sulle sorti della maggioranza: «In realtà le acque sono più calme di quel che sembra», assicura. E nell’Ulivo più d’uno fa capire che proprio il fantasma di «larghe intese» sull’Afghanistan come prima tappa di un cambio di maggioranza potrebbe servire da deterrente per i malpancisti di sinistra.

D’altronde, il rischio è stato esplicitamente spiegato ai dirigenti del Prc e dei Verdi dal ministro della Difesa Parisi. Che ha naturalmente smentito di aver indicato come possibile fautore dell’operazione il vicepremier D’Alema: ma in ogni caso, la minaccia sembra aver funzionato.

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