Roma

Agenti decorati messi a controllare i taxi abusivi

Missioni, rimborsi spese e denunce anonime. Dopo due anni d’indagini finalmente la svolta nel caso dei 5 poliziotti che avrebbero intascato indennità non dovute. Soldi spesi per gli spostamenti dal commissariato della Polaria all’aeroporto di Fiumicino, agli uffici della squadra mobile fino alla Procura di Roma. Pasti «fuori sede» compresi. La svolta è che l’indennità di missione, si è acclarato, spettava a tutti, nessuno escluso. La storia di per sé è paradossale: nel 2004 un esposto anonimo insinua il sospetto di una truffa architettata da un gruppo di agenti tutti pluridecorati e con decenni di servizio alle spalle. Tanto che l’Ufficio Tep, Trattamento economico e di pensione, non ci pensa due volte e invia ai cinque uomini della squadra giudiziaria i bollettini per la restituzione del «maltolto». In alcuni casi l’importo supera i 20mila euro per un periodo che va dal giugno 2002 all’ottobre 2003. Sedici mesi in cui i poliziotti vanno ad affiancare i colleghi romani in intercettazioni e pedinamenti delicatissimi. In gioco un maxi traffico di sostanze stupefacenti che interessa da anni la Direzione distrettuale antimafia.
La guerra di mafia lascia sull’asfalto di Ostia le prime vittime. Come Paolo Frau, un ex della Magliana ucciso sotto la propria abitazione da due sicari nell’autunno 2002. Un lavoro complesso che porta, ottobre 2004, a 18 arresti. L’operazione «Anco Marzio» da una parte stronca un pericoloso sodalizio criminale, dall’altra congela l’attività degli investigatori di Fiumicino, bloccando sviluppi «interessanti» per la stessa Dda. Le cose si mettono male soprattutto l’anno dopo quando, in seguito alla denuncia anonima, i cinque vengono demansionati e spediti a multare i tassisti abusivi. Un funzionario del ministero dell’Interno, intanto, sequestra ordini di servizio e interroga il dirigente della Polaria con ad altre 30 persone. Obiettivo: chiarimenti sul trattamento di missione goduto dagli agenti.
La «disciplinare», insomma, vuole sapere se delle indennità, inoltrate anche successivamente ai servizi svolti, ne era a conoscenza il dirigente che firmava le richieste. Passano i mesi, il capo della polizia Giovanni De Gennaro invia al dirigente della V zona della polizia di frontiera, Felice Ferlizzi, una nota di elogio per il contributo svolto nell’operazione. È il 15 marzo 2005 ma l’encomio firmato De Gennaro verrà recapitato agli agenti solo nel dicembre successivo, sempre da un fantomatico portalettere. Sulla busta: «Buon Natale». Passa un altro anno, dopo aver presentato ricorso gli agenti si rivolgono all’economato per sapere a che punto si trova l’inchiesta amministrativa. Al giallo dei soldi spesi si aggiunge il mistero delle carte scomparse: agli atti risultano mancanti gli ordini di servizio del primo semestre 2003. Quelli sequestrati. L’istanza dei poliziotti, nel frattempo viene respinta. Motivo? Gli agenti risiedono a Roma, secondo l’ispettore ministeriale, medesimo luogo delle missioni. Peccato che a quest’ultimo sia sfuggita la nota dello stesso ministero, mai recapitata agli «indagati», in cui la Direzione centrale per le risorse umane del Viminale stabilisce che le indennità sospette sono, in realtà, assolutamente legittime.

Nonostante ciò gli agenti della «speciale» restano a controllare i taxi abusivi.

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