Pur sapendo che si fa prima a cambiare i desideri che aspettare che si realizzino, cediamo anche noi alle tradizioni di fine anno con poche personalissime speranze per il 2026. Esempi.
Che il giornalismo conceda una lunga carriera a Massimo Giannini e l'università a Tomaso Montanari, due tra i principali fattori di consenso dell'esecutivo.
Che diano l'Oscar a Sigfrido Ranucci. Per i montaggi televisivi.
Che almeno una volta ogni due-tre mesi si replichi la solita bella polemica culturale, quella che inizia con la denuncia di qualche ospite sgradito al primo festival che capita, prosegue con appelli e raccolte firme, si trascina con boicottaggi di vario tipo e finisce con un dibattito sull'egemonia culturale della destra. O della sinistra.
Assistere alla conclusione della parabola di Francesca Albanese e vedere gli stessi che l'hanno innalzata a modello di virtù civile e autorità morale, tirarla giù dal piedistallo, sputandole sugli occhiali. E poi dire: «Ti perdono, ma non lo fare più».
Che si continui la comoda pratica per cui il venerdì non si lavora più. Grazie, Maurizio.
Che si dia una stretta editoriale alle biografie come quella di Iacchetti, che non interessa nemmeno ai suoi genitori.
E poi speriamo che la destra faccia qualcosa in più tra le cose che ha promesso e la sinistra qualcosa in meno tra quelle che minaccia.
Per il resto, ci affidiamo serenamente al peggio.
(E «Giù la maschera» torna il 7 gennaio).