So bene che nominare il buon senso non è elegante. Pazienza: se invece di chiamarle questioni «eticamente sensibili», le chiamassimo piuttosto faccende «buonsenso incompatibili»? Mè venuto in mente ascoltando il ministro per la Solidarietà sociale, Paolo Ferrero, di Rifondazione Comunista, proporre il rifornimento da parte dello Stato di «stanze pulite ed asettiche» ai drogati, per bucarsi in silenzio, libertà e igiene. Lo stesso Ferrero non sembrava sperare molto in eventuali effetti terapeutici della misura, che infatti, ovesperimentata, non ne ha avuto nessuno. Era molto interessato, invece, all«asetticità» dellambiente fornito per la realizzazione del buco. Una preoccupazione lodevole, visto che spesso i tossici raccolgono molteplici infezioni; ma anche abbastanza ingenua. La necessità del tossico (che ha spesso un fondo ossessivo, e quindi oscilla già di suo tra sporcizia e asetticità), non è tanto, infatti, quella di venire sottratto ai batteri, ma piuttosto aiutato a trovare la giusta relazione con laspetto «batterico» della vita. Bucarsi appoggiato ad un cassonetto, o in una stanzetta linda fornita dalla Asl, sono due facce della stessa medaglia: lincapacità dellindividuo di accettare la vita così comè (con i suoi lati difficili, i suoi «batteri»). Unincapacità che lo Stato, rendendo «asettica» loperazione del «buco» non fa che rafforzare, organizzandola. La cosa più grave, forse, non è però che Ferrero non sappia affatto perché un poveraccio finisca a drogarsi; da quel che ha detto sembra neppure gli interessi molto, a lui che è nella luce della rifondazione comunista, a mille chilometri di distanza dagli inferni della realtà.
Mi sembra invece più grave, e contro ogni buonsenso, la china sulla quale lo Stato si mette, ponendosi il problema di come aiutare il tossicomane a bucarsi nel modo, si fa per dire, «migliore». Questo pone infatti, a rigor di logica, un problema di equità i cui effetti vanno lontano. Perché, infatti, aiutare il tossico a bucarsi, e non laspirante suicida a togliersi la vita? Tanto il punto darrivo è lo stesso: si sa che di droga si muore, ed anzi il ministro per la Solidarietà sociale farebbe un buon servizio ai superstiti se organizzasse un servizio di informazioni e statistiche più tempestivo e capillarmente diffuso, specie tra i giovani, di quanto sia oggi. Perché ci deve essere il funzionario che porge la siringa, e non quello che offre la pistola carica? Dopo tutto, anche laspirante suicida può incappare in mille pericoli, esattamente come il tossico senza droga, e un luogo per iniettarsela. Può finire (laspirante suicida) in giri loschi, venire sfruttato e ricattato nella sua ricerca di armi, oppure, esasperato, può buttarsi dalla finestra e cadere addosso a qualcuno. Perché, tra due pulsioni autodistruttive, solo una deve essere meritevole di attenzione dello Stato? Per non parlare poi dei numerosi infelici che provano piacere a torturarsi nei modi più impensati, rimanendo spesso vittime, come ci raccontano le cronache, di incidenti sanguinosi e mortali. Se, infatti, lo Stato deve tutelare la ricerca del «piacere» dovunque ognuno lo voglia cercare, perché il tossicodipendente deve assorbire più energie, e più fondi, del più discreto masochista, che rischia di rimanere appeso a qualche macchina infernale (magari in una tuttaltro che asettica cantina, Signor Ministro!), nella quale la moglie preoccupata lo troverà a notte fonda, quando non cè più nulla da fare? Perché la sua solidarietà si limita al tossico, e non a queste, meno politicamente protette, categorie di infelici cittadini?
Il fatto è, semplicemente, che prima di delirare su cosa sia «eticamente sensibile», secondo il buonsenso lo Stato dovrebbe aiutarci a vivere, e non a morire. La solidarietà, caro ministro, deve intervenire molto prima della camera del buco, e proprio per evitarlo, non per consentirci di praticarlo con la benedizione del governo.
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