Roma - Ha fatto di tutto Renato Brunetta per non indispettire i sindacati nel primo incontro da ministro, dedicato al suo «piano industriale» per riformare la pubblica amministrazione. Non ha indugiato nei dettagli, come i licenziamenti e le visite mediche anti assenteisti e si è limitato a illustrare i principi generali del piano, concedendo ai sindacati rassicurazioni sul rinnovo del contratto. Ma l’operazione fair play è riuscita a metà: la gran parte delle sigle ha accettato il confronto rinviando il giudizio sul merito, ma un «no» preventivo al piano anti fannulloni è arrivato dalla pesantissima Cgil Funzione pubblica che si è alzata dal tavolo una manciata di minuti dopo l’inizio. Scelta spiegata con un problema di metodo (il fatto che si sia permessa la presenza di un solo rappresentante per ogni confederazione), ma che a molti è sembrato il tentativo di non concedere nulla. E di non iniziare nemmeno una trattativa che rischia di rivoluzionare il pubblico impiego.
Perché a ben guardare - a parte i toni concilianti di ieri - nelle premesse illustrate da Brunetta c’è la descrizione di una situazione ormai intollerabile. E le quattro azioni abbozzate sono di quelle destinate ad agitare le acque.
Partiamo dallo stato attuale. La produttività dei pubblici dipendenti e l’efficienza media delle organizzazioni pubbliche «sono assai basse». La metà degli impiegati è dedicato «ad attività estranee alla missione» dell’ufficio e si occupa solo della «mera sopravvivenza dell’amministrazione». In sostanza lavorano solo per loro stessi. La situazione si aggrava nelle sedi del Sud dove la produttività «è la metà di quelle al Nord». Tutto questo perché nello Stato «manca il datore di lavoro». La sfida di Brunetta è quindi introdurre il datore anche nel pubblico e dare al vertice politico le responsabilità di un amministratore di azienda. Recuperando efficienza si potranno risparmiare 40 miliardi di euro nell’arco di tre-cinque anni (l’intervallo di tempo necessario a completare la riforma). I cardini dell’intervento saranno il riconoscimento del merito e la «premialità». Che passerà anche per gli straordinari, ma solo - ha ricordato anche il ministro al Welfare Maurizio Sacconi - quando anche lo Stato sarà un «buon datore di lavoro».
Una giornata nera per la Fp-Cgil. A partire dalle modalità di illustrazione del piano. Il negoziato, per il segretario generale Carlo Podda non è nemmeno iniziato. Per Enrico Panini della Flc Cgil (scuola), escluso dal tavolo, Brunetta «cerca il conflitto». Più disponibili gli altri sindacati che sono entrati nel merito: «è difficile fare le nozze coi fichi secchi, noi le nozze vogliamo farle, ma con un’ottima torta nuziale», ha sintetizzato il segretario confederale della Uil Paolo Pirani, lasciando quindi intendere che adesso è tutta una questione di risorse. Marco Paolo Nigi, segretario generale della Confsal, confederazione particolarmente forte nel pubblico impiego condivide l’intento di rendere la Pa «più efficiente» e accetta i principi di premialità, meritocrazia, valutazione e trasparenza, ma chiede che venga tutelata la professionalità dei pubblici dipendenti. Anche Fulvio Depolo dell’Ugl loda un «approccio innovativo».
Più tiepida la Cisl che con Gianni Baratta rinvia il giudizio. Il confronto proseguirà, ha assicurato il ministro. Ma anche in questo caso le modalità non piacciono alla Cgil: Brunetta - ha lamentato Panini - ha proposto per le prossime fasi «un confronto via e-mail».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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