Il 2025 sarà ricordato come l'anno degli artisti che si sono resi conto che la causa pro Pal funziona per aver qualche attenzione in più. In tanti sono saliti sul carro dell'attivismo negli ultimi 12 mesi, seguendo l'onda dalla parte che poteva dare loro maggiore rilievo e meno problemi, visto che lo schieramento con Israele, nel mainstream social, avrebbe potuto dare loro qualche grattacapo. L'hanno fatto con convinzione e sapendo quello che facevano? Per la maggior parte no, probabilmente non si sono nemmeno interessati nel merito ma è bastato qualche video social e qualche sondaggio di popolarità per capire che la parte pro Pal era quella più conveniente. Fiorella Mannoia no, lei dev'essere esclusa da questo gruppo: non perché non sia schierata anzi, è tra gli artisti più esposti in tal senso, ma a lei va riconosciuta la coerenza di esserlo sempre stata e non per mera convenienza.
Diverso è chi per avere qualche applauso in più, qualche ripresa in più sui social, è salito sul palco con la bandiera palestinese sventolata tra un balletto e un altro, che non a caso hanno raccolto ampie simpatie nei movimenti pro Pal a seguito di questo gesto. Nulla di grave, anzi ci mancherebbe, ma quanto meno furbo e strumentale all'ottenimento di un obiettivo personale. Anche perché tutti hanno visto che quando un artista si è schierato con Israele è stato colpito da valanghe di insulti, è stato boicottato e si è perfino chiesta la sua estromissione da importanti festival del cinema, come nel caso di Gal Gadot e Gerard Butler, per i quali i colleghi stessi hanno firmato una petizione per chiederne l'esclusione e la censura dalla Mostra del Cinema di Venezia. Alla fine nessuno dei due si è presentato in Laguna, ufficialmente per impegni pregressi, ma è innegabile che la pressione sia stata forte su di loro. Quindi perché rischiare? Ci si può facilmente accomodare dall'altra parte, da quella di chi si considera giusto fra i giusti e si sente in dovere e diritto di criticare le scelte altrui, per mettersi al riparo. E sì che fino a pochi anni fa c'era il diritto di parola e di espressione senza rischiare di essere esposti al pubblico ludibrio solo per aver detto la propria opinione. Erano proprio bei tempi.
Ci sono poi i cantanti che hanno trovato nella Flotilla la propria ancora per unirsi al movimento pro Pal. C'è chi si è mostrata in un pianto disperato sui social, chi ha provato a usare la causa per lanciare una canzone, magari sperando divenisse l'inno di qualche manifestazione, chi ne ha approfittato per attaccare il governo. Chissà cosa avranno pensato quando la Flotilla ha espressamente dichiarato di aver messo in piedi una missione politica più che umanitaria, considerando anche l'esiguità di derrate alimentari a fronte di quelle che l'Italia, ma anche il resto dei Paesi, invia regolarmente a Gaza. Mentre una volta l'artista rischiava la carriera per andare contro il sistema, oggi il sistema premia chi urla più forte lo slogan più popolare.
È il terzo Millennio, quello dei social e dei like, dove non importa comprendere la complessità di un conflitto millenario: non ci si può porre dei dubbi, bisogna schierarsi da una parte, possibilmente quella più partecipata, perché è l'unica assicurazione sulla carriera contro i feroci tribunali dell'inquisizione digitale.