Ai democrat serve il Cav per poter fare le riforme

Se Berlusconi  dirà "sì" alle modifiche della Costituzione i suoi avversari saranno costretti a non tirarsi più indietro

Ai democrat serve il Cav per poter fare le riforme

L’avvio è cauto, i protagonisti si guardano con circospezione e qualche sospetto, il pubblico assiste perplesso e incredulo: ma è un fatto che il treno delle riforme istituzionali è ripartito. Difficile dire se, questa volta, giungerà in stazione: il primo tentativo, con un’apposita commissione bicamerale presieduta dal liberale Bozzi, risale al lontano 1983. E la più famosa delle Bicamerali, quella presieduta da D’Alema nel ’97, andò a picco ad un passo dal traguardo, lasciando dietro di sé polemiche e accuse reciproche e spianando la strada ad un quindicennio di guerra civile fredda.

Questa volta, forse per scaramanzia e forse per sobrietà, non ci saranno commissioni parlamentari ad hoc, ma i protagonisti (e le difficoltà) sono grosso modo gli stessi, perché dietro Alfano e Bersani continuano ad esserci, in posizioni diverse ma con un ruolo tutt’altro che secondario, Berlusconi e D’Alema.

Viste da Largo del Nazareno, le riforme sono insieme un’occasione e un ostacolo. Il Pd si trova vistosamente in mezzo al guado: dietro l’appoggio unanime e condiviso al governo Monti, infatti, si misurano almeno due scuole di pensiero. La prima vede nel governo tecnico l’occasione per ridisegnare profondamente il sistema politico italiano, archiviando una volta per tutte l’alleanza con la sinistra radicale e proponendosi come perno di un’alleanza di centro-sinistra con contorno di professori e banchieri. Sono di questa opinione, fra gli altri, Veltroni e Letta. La seconda scuola di pensiero considera invece Monti una parentesi, se non un incidente di percorso, e non vede l’ora di tornare a Vasto, cioè su quel palco dove Bersani, Vendola e Di Pietro fondarono il «Nuovo Ulivo».

Bersani non ha deciso quale strada imboccare, convinto peraltro che si tratti di una falsa alternativa e fiducioso nella possibilità di tenere tutti assieme, come se l’antiberlusconismo potesse sopravvivere a Berlusconi: ma l’apertura di un tavolo per cambiare la Costituzione e la legge elettorale cambia oggettivamente la situazione, introduce nuovi elementi di moderazione e di stabilizzazione del quadro politico, e spinge il pendolo in direzione dei rinnovatori, cioè di coloro che di Vasto non vogliono più sentir parlare.

Ieri, al termine del vertice a tre con Alfano e Casini, il segretario del Pd è stato particolarmente cauto nei commenti: «Ora bisogna far prendere bene il ritmo alle riforme in Parlamento. Come si sa ci sono contatti in corso: tutti parlano con tutti, anche di riforma elettorale. Anche in questo caso - ha aggiunto Bersani - si tratta di verificare se si condividono alcuni criteri. Qui il discorso è un po’ più complicato ma devo dire che anche qui qualche passo avanti sta avvenendo...». Nell’incontro, a quanto si sa, si è discusso tanto nel merito (riduzione del numero dei parlamentari, superamento del bicameralismo perfetto, sfiducia costruttiva, potere di nomina e revoca dei ministri da parte del presidente del Consiglio, riforma dell’articolo 117 della Costituzione) quanto di metodo: la prima approvazione delle riforme dovrebbe avvenire entro l’estate, l’ultima entro Natale. E, in mezzo, la riforma elettorale. Troppa carne al fuoco?

Perché questo percorso sia rispettato e il treno arrivi puntuale in stazione, il Pd ha bisogno di Berlusconi. Per quanto paradossale possa sembrare, è proprio il Cavaliere l’uomo che può far uscire i democratici dalla trincea un po’ asfittica dell’antiberlusconismo. Se Berlusconi darà il via libera alle riforme, sfidando nel suo campo le resistenze leghiste (e non solo), il Pd sarà politicamente costretto a non tirarsi indietro. E in questo modo dovrà anche rivedere il proprio sistema di alleanze. Certo, molto dipende dalla legge elettorale assai più che dalle riforme istituzionali. Se si scegliesse un modello d’impianto sostanzialmete proporzionale, come oggi sembra possibile, la svolta sarebbe netta per tutti, e il Pd sarebbe libero di presentarsi da solo alle elezioni senza subire i ricatti e i condizionamenti di Vendola e Di Pietro. Ma in politica il clima conta spesso più dei fatti, e la deriva moderata che il processo di riforma è destinato ad innescare porta il Pd sempre più lontano dai suoi vecchi alleati.

Resta, naturalmente, l’incognita dei processi all’ex presidente del Consiglio.

Non si tratta di una variabile irrilevante, oggi come in tutti questi anni, e sebbene sia improprio parlare di trattative o addirittura di salvacondotti, non sfugge a nessuno quanto il percorso delle riforme sia intrecciato alle vicende giudiziarie di Berlusconi. E non sono pochi, nel Pd, quelli che si augurano un esito non traumatico. Salvare Berlusconi può voler dire salvare le riforme.

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