Alice for children

Come aiutare i bimbi del Kenia

Da oggi il nostro quotidiano sostiene con i suoi lettori la campagna per l’adozione a distanza di "Alice for children", l’associazione fondata da Diego Masi che gestisce un piccolo villaggio. Al costo di un caffè al giorno si può regalare il futuro a un fanciullo. L'associazione: "Con noi nessuno spreco"

Come aiutare i bimbi del Kenia

C’è chi è tentato ma poi rinuncia. Chi vorrebbe ma è scettico. Sarà utile? È un’inizativa seria? Se i dubbi sono questi, superateli. Come garanzia c’è Il Giornale. Che da oggi sostiene il progetto «Alice for Children» per offrire un futuro migliore ai bambini di Nairobi, uno dei luoghi più poveri del mondo. E lo fa in modo innovativo, attraverso la carta stampata e attraverso il web. Due strumenti che garantiscono trasparenza a un’iniziativa che punta a raccogliere l’adesione di tanti lettori per sviluppare una campagna di solidarietà che può dare frutti a lungo termine.

Cosa c’è, infatti, di più bello che veder crescere un bimbo, vederlo mangiare, studiare e sorridere? Sono cose normali per noi. Eccezionali per i bambini di Nairobi, costretti a sopravvivere nelle baracche di lamiera tra scarti di cibo raccattati nella spazzatura e colla sniffata quando la morsa della fame si fa insopportabile. Vite, giovani vite, spezzate spesso dall’Aids o dalla miseria. Eppure basta un euro al giorno per forzare la mano del destino. Basta evitare di prendere l’ennesimo caffè per aiutare un bambino a diventare adulto. Ed è questo il piccolo contributo necessario per adottare un bambino di Nairobi. Un euro al giorno, 30 euro al mese, per tutto il tempo che si può. Sono centomila i bambini bisognosi di Nairobi e i piccoli orfani si moltiplicano ogni giorno che passa. Alcuni non ce la fanno, altri muoiono per malattia come i loro genitori, i più fortunati vengono raccolti da associazioni di volenterosi, come quella scelta dal Giornale.
Ma perché proprio «Alice for Children»? «Perché l’abbiamo conosciuta molto da vicino e ci dà affidamento», spiega Luna Berlusconi, consigliere d’amministrazione della società che edita Il Giornale, da sempre attenta alle problematiche dell’infanzia. «Radio Italia sostiene da tempo questa associazione – racconta Luna - e ci ha, per così dire, contagiato. Abbiamo verificato con quanto amore e altruismo i responsabili delle strutture seguono i bambini. Inoltre, Diego Masi, fondatore del villaggio, è per noi una garanzia di trasparenza e di solidarietà».

Masi, infatti, esperto in cooperazione internazionale, ha scelto di utilizzare il web come strumento di comunicazione. Costa poco, quasi niente e permette di mantenere un contatto diretto tra il donatore e il beneficiario. «Ci sono tante associazioni che fanno del bene in Africa, per carità - precisa Luna - ma quella che vogliamo sostenere non ha intermediazioni, non c’è dispersione di denaro. Chi adotta a distanza entra virtualmente nel villaggio a Nairobi, può parlare direttamente con i bambini una volta alla settimana, può seguirne la vita quotidiana in una comunità dove nessuno si piange addosso. Il clima è sereno».

Luna è già una mamma a distanza. Ha adottato Vivika, una ragazzina di nove anni. E non è la sola ad aver «rotto il ghiaccio». Victor, è stato adottato dal nostro vice direttore, Alessandro Sallusti, Olivia, adottata da Alessia Berlusconi, Mercelyn adottata da Andrea Pontini, amministratore delegato del Giornale.it.

Ma molti altri bambini potranno essere adottati e seguiti attraverso la carta stampata e il web messo a disposizione dei lettori per questa campagna. Basta aprire il sito del Giornale per capire che l’iniziativa non ha precedenti. C’è la garanzia dell’editore, del nostro direttore, Vittorio Feltri, testimonial della proposta di adozione a distanza.
Lo staff del Giornale si schiera in prima linea per innescare un «contagio virtuoso» con i lettori. «A giugno, sarò a Nairobi per conoscere Vivika – racconta Luna con commozione – assieme a me ci sarà la prima cordata del Giornale, spiegheremo ai bambini chi siamo e insegneremo a una classe a confezionare un giornalino. Faremo un reportage, e racconteremo la nostra esperienza ai lettori attraverso il web».

Insomma, l’entusiasmo c’è, la trasparenza pure. Sono soldi spesi bene. Certo, ci sono i terremoti, i profughi e gli orfani di Haiti. Ma non si può fare tutto. «Una cosa non esclude l’altra – aggiunge Luna - quando si può si aiuta tutti, ma bisogna fare una scelta, bisogna canalizzare le risorse. Distribuire soldi a pioggia sarebbe una dispersione. Invece noi siamo sicuri che in questa iniziativa non si perdono soldi per strada.

Qui siamo sicuri di far del bene».

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