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«Gli aiuti di Obama alle famiglie? Buoni solo per i bolli delle ipoteche»

«Quattro ranger che si tengono per mano sono in grado di fermare una valanga?». La domanda, chiaramente retorica, suona già come un giudizio: è quello di Marco Fortis, docente di economia alla Cattolica di Milano e vicepresidente della Fondazione Edison, sulle misure anti-crisi prese da Barack Obama.
Professor Fortis, le ultime stime della Fed sono da brivido: nel primo trimestre, il Pil Usa potrebbe crollare del 5,2%. Insomma, il malato non sta reagendo alle cure?
«Il problema è un altro: il malato non è stato ancora curato. I fondi del piano Paulson sono stati sperperati e non hanno portato alcun beneficio: la stretta del credito è più forte di prima, mentre i 300 miliardi di dollari versati alle banche si sono rivelati poco più che un’aspirina e hanno solo a tappato i buchi».
Peggio: c’è chi sospetta che siano finiti nelle tasche dei manager sotto forma di super-bonus.
«All’inizio della settimana, otto top banker sono stati interrogati per ore da una commissione della Camera. Sembrava il processo di Norimberga, in chiave finanziaria. L’esasperazioni di molti deputati nei loro confronti era tanto palese, quanto comprensibile. Tra il 2006 e il 2007 gli stipendi dei primi 10 banchieri Usa sono stati pari all’intero ammontare del piano italiano per la rottamazione delle auto (due miliardi di euro, ndr). A fronte di quale risultato? La distruzione del sistema bancario Usa».
Molte banche europee sono state attratte dalla sirena americana e ne pagano oggi le conseguenze.
«Certo. Ma non tutte: la Gran Bretagna è esposta nei confronti degli Usa per 1.200 miliardi di dollari, in Olanda la percentuale tocca il 60% del Pil. L’Italia è messa molto meglio, appena il 3% del Pil».
Perché il piano salva-banche del neo ministro del Tesoro Usa, Tim Geithner, è stato bocciato dai mercati?
«Non è facile rispondere. Geithner sa di muoversi su un campo minato, e dunque la reticenza nel fornire dettagli si può spiegare. Resta da capire se Wall Street abbia mostrato il pollice verso perché giudica il piano negativo per i signori della finanza, o perché lo considera inefficace. In ogni caso, va per prima cosa risolto il problema delle case invendute».
Perché?
«Mano a mano che negli stock di mutui aumentano le insolvenze, le obbligazioni collateralizzate perdono valore e fanno emergere altre minusvalenze negli attivi bancari».
La soluzione può essere la bad bank in cui far confluire gli asset tossici?
«Non credo. Meglio una bad bank per ogni singolo istituto»
Il pacchetto da quasi 790 miliardi di dollari voluto da Obama è ormai prossimo alla firma presidenziale: può contribuire al rilancio economico?
«Il piano sembra gigantesco, ma non lo è. Facciamo qualche conto? Per quest’anno, la spesa prevista è di 185 miliardi, appena l’1,3% del Pil: ciò significa che nel 2009 l’America prende in pieno la recessione. Nel 2010 lo sforzo sale a 399 miliardi. Un po’ meglio, a patto che l’economia non precipiti. Per il 2011 sono stati stanziati 134 miliardi. Ripeto: come fermare una valanga con le mani».
In che misura il piano Obama salvaguarda le famiglie?
«Tra il 2001 e il 2007 i debiti delle famiglie americane sono cresciuti di 6mila miliardi, quanto il Pil dell’euro zona. È come se ogni famiglia avesse sulle spalle 120mila dollari di debiti. Quindi, a una famiglia media, 800 dollari di aiuti servono solo a pagare i bolli sulle ipoteche».
Insomma, serve a poco.
«Serve a sedare il disagio sociale di 11 milioni di disoccupati. L’impatto del piano sull’economia reale è invece limitato. La “green economy“, per esempio, vale appena due miliardi nei prossimi due anni: meglio la social card di Tremonti».


La crisi è globale: chi ne uscirà prima?
«I Paesi come la Francia, la Germania e l’Italia, dove il debito privato è molto basso».

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