Laqua Vineyard, tra la Toscana e il Piemonte

Il ristorante del resort sulle colline pisane di Cannavacciuolo celebra la cucina locale ma anche quella della terra di adozione del Tonino nazionale. Lo chef Marco Suriano, ligure di Santa Margherita, ha mano pulita, netta, cerca la purezza dei sapori senza gesti eclatanti e ha un piacevole understatement che rende una cena un’esperienza snella e confortevole

Laqua Vineyard, tra la Toscana e il Piemonte
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Terricciola è in quella parte di Toscana, la provincia di Pisa, che non gode dell’esposizione destinata alle colline del Chianti, a Bolgheri, alla Val d’Orcia ma è comunque una terra bellissima. Qui sorge uno dei resort di Laqua Collection, che declina il nuovo concetto di ospitalità casalinga pensato da Antonino Cannavacciuolo e dalla moglie Cinzia Primatesta, il Laqua Vineyard, che intende coniugare la cucina di alto livello con il racconto del vino locale.

Laqua Vineyard si trova in un minuscolo borgo isolato nel comune di Terricciola, Casanova, che fa 47 abitanti, che convivono pacificamente con una struttura elegante e discreta, che conta su sei suite ampie confortevoli, su una piscina isolata ed estremamente riservata e su una spa piccola ma perfettamente attrezzata. Ma il cuore del progetto, Cannavacciuolo docet, è il ristorante fine dining, che il Tonino nazionale ha affidato alle cure di Marco Suriano. Ligure di Santa Margherita, 34 anni, appassionato di cucina fin dai primi anni della sua vita, anche grazie alla nonna (possono gli chef italiani fare a meno della nonna?), esperienze a Portofino e a Villa Crespi, il ristorante tristellato sul lago d’Orta di chef Cannavacciuolo, da cui poi fu richiamato per andare in Toscana. Una buona idea, a giudicare da come ha reagito il pubblico e anche la critica, visto che pochi mesi dopo l’apertura il Cannavacciuolo Vineyard prendeva già la stella Michelin.

Il Cannavacciuolo Vineyard è un viaggio gastronomico tra la Toscana e il Piemonte, sia perché terra di elezione di Cannavacciuolo sia per il forte del legame che la struttura vanta con l’azienda agricola La Spinetta della famiglia Rivetti nelle terre del Barbaresco, che a Terricciola, nei vigneti di Sassontino produce un cru di Sangiovese.

Tre i menu degustazione: il Prologo (sei portate, 110 euro), l’Interludio (sette portate, 140 euro) e il Vegetariano (sei portate, 11o euro), oltre che una carta che propone gli stessi piatti dei degustazione e qualche “bonus track”. Per me il Prologo, con una variazione che poi vi dirò. Partenza con un aperitivo in chiave toscana: Pappa al pomodoro, Cucchiaio di fegatini con cappero e gel al Vin Santo, Tartelletta al carbone vegetale con baccalà mantecato e maionese al prezzemolo. Poi una Foglia di vite Sangiovese marinata e cotta in tempura con al di sopra una crema di uvette e delle sarde affumicate, accompagnata da una cecina a forma di spiga. Poi parte il menu vero e proprio con un Branzino con sashimi marinato e affumicato, giardiniera in osmosi e crumble ghiacciato di caprino, ottimo strart. Poi ecco i Tordelli alla piemontese, ovvero “al tovagliolo”, con ragù di musetto del maialino, crema di burrata, cotenna, aglio nero soffiato e fondo di riduzione del maialino. Un piatto soddisfacentissimo grazie a un sapore che avvince. Il piatto principale è una Tagliata di Limousine con bagnetto rosso alla piemontese, cicala di mare, spuma di cannocchia, fondo di vitello, riduzione alla ciliegia. Poi la piccola deviazione dal percorso (da me richiesta), il Carciofo grigliato con prezzemolo, midollo e bottarga e se c’è una volta in cui mi sono pentito di una richiesta specifica certo non è questa. Quindi la parte dolce: il pre-dessert, un crumble allo yogurt, erbette con dressing alla senape, gelato al miele e sale maldon, completato dall’olio della Spinetta; e il trionfo del Pane, cioccolato, sale e rhum, una sorta di french toast al cacao con diverse consistenze del cioccolato. Finale con i petit fours: Madeleine alla mandorla con cremoso al limoncello, Tartufino al cioccolato fondente, Caramellina mou ricoperta dal lampone ed estratto alla rosa.

Suriano ha una buona mano, malgrado sia giovane la sua tecnica è solida e orientata alla valorizzazione della materia prima e di un’idea confortevole e familiare del pasto. Suriano è comparso solo alla fine per un breve saluto e ho apprezzato il suo understatement, ben lontano dalle celebrazioni dell’ego di certi colleghi. Forse in questo l’ombra lunga (e larga) di Cannavacciuolo aiuta a mantenere un basso profilo che alla fine aiuterà Suriano a crescere ancora. Mi piace anche il menu stringato che non trasforma il pasto in un sequestro di persona.

La sala è di alto livello, voglio citare il maître e sommelier Francesco Cotza, che ha dato il meglio di sé con il carrello dei formaggi, che cura con un amore che è decisamente contagioso. Carta dei vini con tanta Toscana ma anche un po’ di Piemonte e resto del mondo. Il locale è elegante, con uno stile un po’ Seventy-chic.

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