"Albertini in camicia verde? Venga e ci aiuti sui programmi"

La Lega apre le porte dopo le avances dell'ex sindaco. Salvini: "Vogliamo cambiare, alzare i toni non serve più"

Un tempo Gabriele Albertini spodestava da Palazzo Marino Marco Formentini, primo (e unico) sindaco leghista di Milano. Correva l’anno 1997 e il lumbard non arrivò nemmeno al ballottaggio. Un’altra era politica. Poi fu alleanza di governo controversa, con la Lega un po’ in maggioranza e un po’ all’opposizione, fino all’uscita dalla giunta Albertini del leghista Giancarlo Pagliarini. «Rispettiamo i patti con i milanesi ma prendiamo le distanze dal sindaco Gabriele Albertini. Non è il padrone della città, i padroni sono i milanesi» chiosava combattivo il capogruppo in consiglio comunale, Matteo Salvini.
Anno 2010, con il sindaco Letizia Moratti si corre verso le elezioni della prossima primavera e Albertini sfodera una grande sintonia con i leghisti, al punto da dichiarare in un’intervista al Giornale: «Avrei già pronta una camicia verde». Non mancano i distinguo, in particolare per i toni e il linguaggio usati dal partito di Bossi, ma le argomentazioni sono padane spinte: «In Italia ci sono cinque Regioni con le carte del regole e altre che ne succhiano le risorse». Le «mucche che ormai stanno dando sangue» sono tutte le Regioni del Nord tranne Trentino Alto Adige e Val D’Aosta, «che sono assistite come quelle del Sud».
La dichiarazione d’amore, o almeno di affinità elettività, non stupisce i leghisti. Parla Matteo Salvini e dice cose molto diverse dai tempi in cui volavano gli stracci (e gli assessorati). «Posso capire e condividere le perplessità sui toni e sul linguaggio e lo dico prima di tutto pensando a me stesso» osserva giudizioso il capogruppo leghista in consiglio comunale. Un mea culpa? «A volte siamo troppo irruenti, a partire da me che ora parlo, ma stiamo cercando di cambiare e in molti si stanno avvicinando a noi per questo».
Il “nuovo” Salvini spalanca le braccia all’ex padrone di Milano: «Da capogruppo a Palazzo Marino ritengo molto positive le parole di Albertini, perché qualunque energia aiuti il federalismo è benvenuta, soprattutto se proviene da una persona stimata e in gamba come l’ex sindaco». Fino all’invito con altolà: «Se si è accorto che la Lega non è così male come la dipingono e vuole collaborare con noi nella stesura del programma, benissimo. Lo sfidiamo a carte scoperte. Se invece vuole solo stuzzicare mediaticamente la Moratti, allora rispondiamo: “No, mi dispiace”».
In epoche non troppo lontane eppure a distanze siderali Gabriele Albertini e Umberto Bossi erano arrivati a pubbliche offese e ripicche. Nel 2001 il Senatúr chiamava il sindaco «l’Albertina» e lui si era talmente arrabbiato da chiedere scuse ufficiali, suggerendo anche il testo della lettera: «Sono molto spiacente e mi scuso senza riserve! L’allusione alla sua presunta omosessualità era del tutto priva di fondamento...» e così via per mezza paginetta autografa.
«Ma poi Bossi e Albertini hanno fatto pace» ricorda Igor Iezzi, segretario cittadino della Lega. Davide Boni, presidente del consiglio regionale, dice «bene, bravo» ad Albertini, ma «per noi il sindaco è Letizia Moratti, è una questione interna al Pdl e forse lui cerca di ritagliarsi uno spazio».
Albertini, osserva Iezzi, è «più popolare della Moratti» tra i militanti leghisti, punto elettoralmente debole di lady Letizia, e «l’ex sindaco sta rafforzando una posizione da indipendente nel Pdl, che per altro ha sempre avuto. In quest’ottica vuole fare il nordista perché sa che porta voti».

Conclusione rosa: «In ogni caso per noi il sindaco di Milano resta la Moratti, che sta risalendo nei sondaggi da quando è scesa tra la gente. Io me ne accorgo parlando la mattina ai mercati. I milanesi vogliono toccare il sindaco e quando lei va in giro, la gente è contenta, la stanno apprezzando. Non ho dubbi che il centrodestra vincerà».

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