Fabrizio De Feo
da Roma
Ministro Alemanno, lei chiede listituzione di una figura politico-organizzativa di riferimento. Ma aggiunge: «Una mia candidatura a segretario non è all'ordine del giorno».
«Iniziamo col chiarire una cosa: io non ho mai chiesto l'istituzione della figura del segretario».
Sta cercando di non personalizzare lo scontro?
«Quella del segretario è un'idea proposta da Storace. La mia candidatura, invece, è stata lanciata da Fiori. Ma il problema è politico e programmatico. Il mio obiettivo è rivendicare l'identità di An, secondo le linee di Fiuggi».
Se non troverà un punto di incontro con Fini è possibile la nascita di unopposizione interna?
«Certamente sì. Se Fini non ci dà le risposte che ci attendiamo, se non c'è un nuovo inizio, questo rischio esiste. D'altra parte meglio una maggioranza e una minoranza rispetto a un unanimismo di facciata».
Sembra che, nelle ultime ore sia ripreso il dialogo con Gasparri. Stanno saltando i canoni classici di riferimento del partito?
«Sicuramente la geografia interna si è fatta più fluida. Con Gasparri c'è stato prima di tutto un chiarimento umano. Noi siamo sempre stati visti come il cane e gatto di An. Era tempo che archiviassimo questo tipo di rappresentazione. Di certo non c'è la volontà di fare un'alleanza di colonnelli contro Fini».
An, ridimensionando Fini, non rischia di tornare nella periferia della politica?
«Nessuno vuole ridimensionare Fini, tutt'altro, ma la crescita di Fini fino a ora non ha corrisposto alla crescita del partito. Fini ottiene apprezzamenti diffusi ma questo non fa attrarre elettorato ad An. Bisogna trovare una formula attraverso cui far procedere la sua legittimazione senza che questo vada a nocumento di un partito in crisi di identità e debole nel rapporto con gli alleati».
Lei sarebbe pronto a dimettersi da ministro per fare il segretario?
«Sì ma l'importante è che sia definita l'incompatibilità tra incarichi di partito e di governo. Il triumvirato ha fallito perché due su tre avevano ministeri sulle spalle».
Se le proponessero la carica di coordinatore cosa farebbe?
«Il problema è cosa fa il coordinatore, se gestisce lo status quo o se rilancia profondamente il partito».
Fini promette un'assemblea programmatica. Sarà quella la sede in cui decidere del partito unico?
«Il partito unico non è oggi una prospettiva realistica. Preferisco una federazione e sono favorevole a unassemblea costituente. E aggiungo un'altra cosa: vedo in questa fase ipotesi che ruotano attorno al nome di Formigoni. Ritengo che sia una grande candidatura perché interpreta quel centrodestra che unisce un'anima cattolica e popolare con una modernizzazione che parte dall'identità».
C'è chi dice che Fini, con lo strappo sul referendum, abbia tentato di andare oltre la destra.
«No, la strada del laicismo è una strada morta. Il mondo va in senso contrario. Pensiamo a Pera, a Ferrara e alla Fallaci. Questi sono laici che si sono mossi verso i valori cattolici. Rischiamo di andare in controtendenza e non comprendere la grande domanda di identità che emerge da tutta Europa».
Si aspetta una correzione di rotta di Fini sul terreno dei valori?
«Nessuno gli chiede di rimangiarsi nulla. Ma serve un salto di livello attraverso cui recuperare il rapporto con il mondo cattolico. I leader si affermano per aggregazioni, non per separazioni».
Uno scontro così forte non rischia di essere penalizzante in termini elettorali?
«Sono convinto che questa dialettica interna abbia oggi evitato forti emorragie di elettori e iscritti».
Sul referendum è stato un errore lasciare libertà di coscienza?
«Assolutamente sì. L'abbiamo usata come alibi per non affrontare il problema».
Le ipotesi di un nuovo nome e simbolo sono reali?
«No. Cambiare vicino alla scadenza elettorale sarebbe sbagliatissimo».
Ha mai pensato a una scissione come risposta al soggetto unitario?
«An è il luogo dove lavorare. Quella della scissione è una delle tante chiacchiere comparse nel corso della telenovela giornalistica cresciuta ai margini della vita reale di An».
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