All’appello non rispondono egiziani e filippini

All’appello non rispondono egiziani e filippini

Stefano Zurlo

da Milano

Le segnalazioni sono centinaia, ma sui banchi approdano in pochi. Pochissimi. Una percentuale bassissima. Non è facile spostare i bambini e gli adolescenti dalla strada e dalla lotta per la sopravvivenza alle aule e ai libri: i dati che arrivano da Milano fanno riflettere e documentano l’inevitabile fallimento della macchina istituzionale davanti al dramma dell’abbandono scolastico. Nell’anno 2003-2004 il Comune ha inviato alla Procura per i minori 1455 sos relativi ad altrettanti giovani under 16: 457 italiani, 437 egiziani, 146 filippini; a scalare cingalesi, cinesi, tunisini. Nel 2004-2005, l’allarme è stato lanciato 1063 volte. E in testa alla poco invidiabile classifica degli assenti si sono piazzati gli egiziani con ben 327 casi. Purtroppo la procedura delle buone intenzioni si è scontrata quasi sempre contro difficoltà insormontabili dai nomi antichi: miseria, paura, nomadismo. Teoricamente, con quei numeri si poteva riempire una scuola, in realtà è stato sufficiente stringersi in qualche classe. «Purtroppo portare in aula i ragazzi extracomunitari è difficilissimo», allarga le braccia il Pm Annamaria Fiorillo. La Procura ha disegnato un percorso di recupero in tre tappe. Anzitutto, la pratica viene affidata alla polizia giudiziaria: si cerca di risalire dal bambino, individuato in qualche modo dalle strutture comunali, alla famiglia d’origine. «Ma stiamo parlando - prosegue il Pm - di clandestini o comunque di situazioni border line. Spesso non si trova nessuno, oppure ci si imbatte in nuclei molto fluidi. I membri vanno e vengono, si spostano, tornano nel loro Paese, ricompaiono qua». Se, la caccia dà comunque un risultato discreto, allora scatta la fase due: il dossier viene passato agli esperti dei Servizi sociali. Tocca a loro entrare in contatto con la famiglia, stabilire un rapporto con i genitori, se ci sono, insomma porre le basi per superare l’inadempienza al diritto-dovere d’istruzione, come viene chiamata burocraticamente la grande fuga. I Servizi sociali inviano a loro volta una relazione al Pm e il magistrato può rimettere in moto il convoglio della legalità e della speranza: si apre un fascicolo sulla potestà genitoriale. «A quel punto - riprende Fiorillo - si cerca di imporre alla famiglia l’obbligo di accompagnare i ragazzi a scuola». Ma l’impresa, fra mille ostacoli, riesce raramente.
Tutta un’altra storia per gli italiani. «Il fenomeno più preoccupante - spiega il Pm - riguarda gli adolescenti fra i 14 e i 16 anni, che, terminate le medie, non hanno alcuna intenzione di proseguire la loro formazione, come invece imposto dalle nuove leggi». Ma per i nostri connazionali non esiste la possibilità di sparire nelle sabbie mobili della clandestinità.

«Il tribunale per i minori - conclude Fiorilli - va a riprendere le famiglie una a una per imporre l’intervento di recupero». Per centinaia di bambini provenienti dai Paesi più poveri, la scuola, resta invece un miraggio. Un lusso che non conosceranno.

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