Gentilissimo Granzotto, in questi giorni si fa un gran parlare per la boutade di Berlusconi su chi abbia la responsabilità se allestero definiscono gli italiani come mafiosi. Credo che il Cav. sbagli nel credere che se non ci fossero libri o sceneggiati televisivi che parlano di mafia o di camorra gli italiani sarebbero considerati alla stessa stregua di inglesi, francesi, tedeschi e così via. La questione è che nel corso dei secoli gli italiani sono sempre stati visti come un popolo di artisti e spensierati scapocchioni, inadatti però alle cose serie, ed alcuni ci definirono macaronì. Da lì, però, si passò a dire che gli italiani sono quel popolo che non finisce mai una guerra nella stessa parte in cui lha iniziata, e questo già faceva un tantino più male. Aperta la strada, allestero hanno cominciato ad andare sul pesante: ricorda la copertina di quel settimanale tedesco con la fotografia della pistola sul piatto di spaghetti al pomodoro? Lì eravamo tutti terroristi. Adesso siamo tutti mafiosi. Da non trascurare è quella che ritengo la peggiore caratteristica che ci viene addebitata e per la quale in campo calcistico siamo tristemente famosi: dessere simulatori di fallo. Poiché lessere dei mafiosi è solo lultima, per il momento, espressione diretta a manifestare in modo inappropriato ma efficacemente sintetico, il pregiudizio negativo che fuori dItalia si ha nei nostri confronti, Le chiedo: 1°) esiste allestero, fondato o infondato che sia, un pregiudizio anti italiano? 2°) se sì: a cosa è dovuto ed a quando risale? 3°) secondo Lei, è peggio essere considerati mafiosi o simulatori di fallo?
Firenze
Scusi le (poche) sforbiciate, caro Sacchetti e visto che ci siamo sforbiciamo dalla lista degli stereotipi negativi del pur sempre Belpaese quello desser patria di simulatori di falli. Che era forse un nostro primato, ma non più dopo la spettacolare sceneggiata dello spagnolo Sergio Busquets che diede ad intendere di aver ricevuto, in luogo di un superficiale manotazo, un violento castañazo ciò che costò allinterista Thiago Motta il cartellino rosso. Dato a Cesare quel che è di Cesare, veniamo a noi: da sempre i popoli e poi, quando fecero la loro comparsa, le nazioni, hanno dovuto sopportare nomee e formule espressive generalmente pregiudizievoli alla loro reputazione (i romani, gran signori, liquidavano tutti gli stranieri quali barbaròs, senza così far torto a nessuno). È vero quanto lei dice, caro Sacchetti: per un bel pezzo noi ce la siamo cavata con la fama di divertenti e spensierati e poco affidabili... Comè che ha scritto? Ah, sì, poco affidabili scapocchioni. Tutti pizza e mandolini. Arlecchini e Pulcinella (lei, che ha sangue partenopeo, di sicuro conosce quel sublime: «Se per la donna il mascolo è trastullo, io ho stato lArlecchino e il Pulcinello»). I guai sono cominciati alla fine della seconda guerra mondiale, con i francesi che non ci perdonarono la «pugnalata alla schiena» ed eccoci macaronì o rital; e con gli anglosassoni che sinventarono persino il neologismo to badogliate, dal nome del generale Badoglio, per indicare la fellonia voltagabannesca. Ora lei dice che extra moenia siamo tutti mafiosi. Bah. Non la penso così.
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