Il primo caso di un religioso musulmano alle prese con la sconvolgente accusa di pedofilia in Italia è stato registrato nell’ottobre 2008. Coinvolto in un’ indagine della Procura di Udine, poi passata a quella di Trieste, l’imam sarebbe stato uno degli animatori di un circolo di persone che immetteva immagini pedopornografiche on line. Dopo averle girate in locali riservati, le registrazioni venivano trasferite in rete e scambiate con altri utenti.
Il tema della pedofilia come pratica diffusa tra le guide religiose del culto islamico, con ampi margini di rischio anche in Italia, si è proposto di nuovo cinque mesi fa. Grazie a un musulmano che ha scelto di aprire una riflessione sulle scuole coraniche che operano nel nostro paese senza alcun tipo di controllo. Abdallah Khezraji, marocchino vicepresidente della consulta regionale per l’immigrazione veneta, ha trovato il coraggio di parlarne, spiegando che è arrivato il momento di esaminare la piaga della pedofilia ovunque, «anche nella comunità islamica, grazie alla copertura di qualche imam».
In un’intervista al Corriere del Veneto ha detto: «Non tutti sono così. Diciamo però che è stato forte lo choc nello scoprire che pure alcune figure religiose, che per noi sono sacre, risultano gravemente compromesse con la pedofilia». Un fenomeno condannato soltanto ufficialmente nel mondo musulmano. Secondo Khezraji, «la questione infastidisce e imbarazza talmente da far sì che non se ne parli, al punto che si fa finta che il problema non esista. Invece anche noi islamici dobbiamo aprire gli occhi e ammettere che il mostro può nascondersi pure nella nostra comunità».
Ad avvalorare le sue preoccupazioni, gli abusi compiuti a danno di decine di minori marocchini che erano stati affidati agli imam per lo studio del Corano, e che invece sono finiti nella tana di alcuni pedofili. Nonostante i casi si ripetano, in Europa (e in Italia) se ne parla ancora poco.
Il caso di Mohammed Hanif Khan, imam di 42 anni incarcerato per violenze su un ragazzo dodicenne in una moschea di Sheffield, è solo il più recente. Nel processo a suo carico che l’Alta Corte di Nottingham sta svolgendo in questi giorni, ha negato gli stupri, dicendo di aver solo aiutato il minorenne a superare la difficile situazione che viveva in famiglia. Quella che sembra una semplice giustificazione va però contestualizzata, per comprenderne la gravità. Come se l’abuso di un minorenne dentro la moschea non fosse considerato realmente un reato nelle periferie del mondo islamico. Pure nella ricca Dubai, lo scorso anno, un imam proveniente dal deserto è comparso davanti ai giudici per rispondere dell’accusa di violenze nei confronti di un bambino di 8 anni. «E’ ingiusto, non ho commesso alcun crimine», ha detto al tribunale secondo quanto riportato da Gulf News, confermando che in molti paesi da cui provengono gli imam l’abuso è considerato soltanto un brutto costume. Nel Maghreb qualche imam è finito in Tribunale. Non senza difficoltà da parte delle famiglie, che continuano spesso a tollerare certe situazioni. Ad Algeri, invece, ne sono stati processati ben cinque nel giro di un anno, dopo una grande campagna di sensibilizzazione partita dalla stampa. Idem in Egitto. In Marocco, per sottrarre i bambini al potere degli imam, il re ha cambiato perfino la legge sulla scuola (vedi intervista). Ed ha chiuso alle moschee fai- da-te.
Ora questo fenomeno che ha interessato il Maghreb per decenni si sta spingendo pericolosamente in Europa. In Spagna, l’anno scorso, è stato arrestato un imam accusato di abusi sessuali nei confronti di cinque bambine, a cui dava lezioni di Corano in una moschea di Murcia. Quarantasette anni, marocchino, si era istallato appena l’anno precedente nel sud-est del paese, presso la moschea di El Algar.
Un altro caso in Olanda. In una piccola sala di preghiera un altro predicatore è stato accusato di abusi su una bambina di tre anni e mezzo. Solo nell’agosto 2008 madre e figlia hanno sporto denuncia presso le autorità marocchine.
Se a livello sociale c’è ancora chi nella comunità islamica fatica a dare il giusto peso a certi episodi, la giustizia ha invece ben compreso l’importanza di perseguire casi del genere. Quella olandese, ad esempio, ha fatto sapere di essere intenzionata a richiedere l’estradizione dell'imam accusato di violenze. Che nel frattempo si era rifugiato in Marocco.
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