Allarme immigrazione Tremonti dà la linea "Aiutiamoli a casa loro"

Il ministro dell’Economia sui soldi per rimpatriare i clandestini: "Devo studiare il sistema, meglio usare l’Iva per il volontariato". EDITORIALE Da disperati a imprenditori / Magdi C. Allam

Allarme immigrazione 
Tremonti dà la linea  
"Aiutiamoli a casa loro"

Roma - Giulio Tremonti torna nel bel mezzo dell’agone politico. Anche se nel caso del ministro dell’Economia, non poteva che essere quello internazionale, delle strategie degli stati di fronte alle grandi trasformazioni nordafricane e arabe. Non rinuncia a dire la sua sulle ripercussioni domestiche, ma non per distinguersi dal governo. Anzi, a Lucia Annunziata che durante il suo In 1/2 ora cercava di stuzzicarlo, il responsabile dell’Economia ha risposto confermando le scelte dell’esecutivo.

A partire dall’immigrazione. Sui rifugiati e i migranti le tesi del ministro sono sovrapponibili a quelle di Umberto Bossi. Tesi che ieri, nell’intervista a Rai3, Tremonti ha sostenuto e alle quali ha dato una cornice teorica.
Poche battute sulla proposta di dare 1.700 euro a ogni tunisino rimpatriato. «È una cosa che ancora non ho studiato». Anche se, ha precisato, «sarebbero comunque soldi europei. Voglio vedere quale è il giro dei soldi, tenga conto che i soldi europei sono comunque soldi italiani». La via maestra è quella «di aiutarli a casa loro». E in questo caso il riferimento è ai clandestini. «Le proposte sono quelle fatte da tempo con Umberto Bossi e poi con il governo italiano al G7 dell’Aquila».

Se intere popolazioni cercano di scappare dai rispettivi paesi è colpa della globalizzazione che «alcuni pazzi hanno voluto spingere». Della speculazione che ha colpito anche i beni primari, come il cibo, e i paesi dove le disponibilità economiche sono nulle. «Quello che da noi è il carovita - ha sottolineato ribadendo un suo cavallo di battaglia - in Africa è la vita».
La ricetta giusta non può essere quella dell’accoglienza senza criterio. Giusto essere buoni, ma il buonismo no. «Questa retorica sbagliata della accettazione di milioni di persone in Europa» porta alla «reazione dell’estrema destra, dei movimenti nazisti», che nel Nord del continente già si fa sentire.

Complicato uscirne. Ma la strada non può che essere quella che aveva ispirato la proposta fatta da Berlusconi, Bossi e dallo stesso Tremonti anni fa. «Destinare una quota dell’Iva, via volontariato, per aiutare» chi viene da quei paesi, ma «in casa loro». Sussidiarietà internazionale. Perché la ricetta del ministro dell’Economia non contempla il passaggio di fondi da stato a stato. Formula bocciata dalla storia. «Quei soldi finiscono in armamenti o vanno in Svizzera». Meglio quindi fare arrivare quei fondi, finanziati dai cittadini con i loro consumi, a chi si occupa direttamente delle popolazioni.

La tesi di fondo di Tremonti sulle le rivolte nei paesi magrebini e arabi è che sia un problema di distribuzione delle risorse. «Difficile governare con diseguaglianze troppo grosse. Quando hai minoranza ricchissima e base popolare poverissima tutto diventa ingestibile. L’innesco è stato la speculazione». Gli effetti si faranno sentire anche oltre l’area. «È una catena di rivoluzioni che inizia dall’Atlantico e arriverà in Asia. Dentro ci sono ragazzi e donne che rifiutano limiti alla loro vita e reagiscono contro governi e regimi corrotti: c’è voglia di un mondo diverso, è assolutamente positivo e non fermabile». Sono «popoli che si rimettono in marcia». Contro «dittatori, regimi, ladri».

Fa parte di questo scenario la Siria: «Penso che la Siria è un fatto molto importante è la caduta di un regime in piedi almeno mezzo secolo». Ma in quel caso la soluzione non sarà un intervento militare perorato dalle potenze dell’emisfero Nord. «Non essendoci il petrolio in Siria, penso che voglia di intervenire sia più modesta che altrove».
Differente la situazione in Libia. «Quello - ha spiegato - è un paese diverso dagli altri, con tribù in contrasto tra di loro. Per questo l’intervento è più complesso. In ogni caso la via maestra è quella dell’Europa». Abbiamo «una politica estera in ministro è giusto che si trovi una soluzione».

Quello che è certo è che il prezzo, in termini economici, ancora lo dobbiamo pagare. Le crisi si faranno sentire nei portafogli delle famiglie e nella finanza. «Sta cambiando il mondo e mettere in conto che ci siano anche fatti di impatto finanziario è possibile ed è doveroso» per chi analizza queste vicende». Inevitabile anche ripensare agli strumenti per rispondere alle nuove sfide.

Non si salva, nell’analisi di Tremonti, nemmeno il G20, che era nato in teoria per questo, per includere i paesi emergenti, ma non basta più. «In due anni è invecchiato. Non c’è l’Africa, solo quella del Sud. La struttura deve cambiare perché non rappresenta più il mondo».

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