
"Caro Ferrari, lo metta sulle sue macchine da corsa. Le porterà fortuna". Era il 17 giugno del 1923 quando Enzo Ferrari, ventenne squattrinato con una vita difficile alle spalle, vinceva la prima competizione automobilistica della sua vita: il Gran Premio del Circuito del Savio, volando su un’Alfa Romeno che portava il numero 28. Ad assistere al primo trionfo del pilota, era anche la contessa Paolina de Biancoli, che rimase entusiasta della gara e colse forse un’affinità tra il giovanotto, orfano di padre e privato di un fratello morto al fronte, e il figlio che perduto per sempre nella Battaglia del Solstizio. Così, spinta dalla nostalgia del più tenero senso materno, si dice abbia deciso di porgere a Ferrari un “cavallino rampante nero" che era stato dipinto su un pezzo di tela.
Era lo stesso che ornava in singolare maniera uno Spad S XIII. Il biplano da combattimento prodotto dalla francese Sociéte Pour l'Aviation et ses Dérivés, affidato in battaglia al temerario pilota da caccia che era di suo figlio, il maggiore Francesco Baracca, l’asso degli assi della Regio Esercito che aveva portato la cavalleria nell'aria.
L'Asso degli Assi
Francesco Baracca, nato a Lugo, in quella stessa Emilia Romagna dove era nato Ferrari, è stato il più importante pilota da caccia italiano del primo Novecento e della nostra intera storia bellica. Aviatore abile e coraggioso, idolo delle folle come solo il Barone Rosso era diventato prima di lui, era considerato un mito italico.
Cadetto della scuola di cavalleria di Pinerolo, poi inquadrato nel 2° Reggimento “Piemonte Reale”, che era stato fondato nel lontano 1692 dal duca di Savoia al motto di “Venustus et Audax” e portava come stemma araldico proprio un "cavallino rampante argenteo su campo rosso guardante a sinistra e con la coda abbassata", il giovane Baracca - già cavaliere provetto e da concorso - dopo aver assistito all'esercitazione dei nuovi cavalieri dell'aria nell'aerodromo di Centocelle a Roma scelse la via del futuro abbracciando la nuova specialità temeraria che era il volo di guerra.
Iniziò quindi a dominare l'aria nelle prime missioni di ricognizione, e ottenne la prima vittoria su un Nieuport 11 "Bébé" abbattendo un ricognitore austriaco. L'evento segnava nella storia il primo successo dell'Aviazione italiana in combattimento. Costretto all'atterraggio, il pilota del velivolo nemico verrà accolto dal vincitore con una calorosa stretta di mano. Segno indelebile della cavalleria che al tempo vigeva tra i primi piloti da caccia.
Ricorda il grande Folco Quilici in Umili Eroi: "..è all'apparecchio che io miro, non all'uomo", diceva Baracca, che ai suoi uditori spiegava: "Quando volo, soprattutto quando sto duellando con il nemico, la mia mente è vuota, libera, non pensa. Agisco d’istinto, rovescio l’aereo, lo faccio scivolare d’ala, lo metto in vite, lo richiamo".
Un "cavallino rampante"
Sarà sul velivolo successivo, un argenteo Nieuport 17 della 70ª Squadriglia sul quale conseguì la quinta vittoria e divenendo un "asso", che scelse di adottare il cavallino nero come emblema personale. Il suo compagno d'armi, il principe Fulco Ruffo di Calabria con cui condivise diverse vittorie, esibiva invece una piratesca e beffarda testa di morto sorridente con le tibie incrociate.
Riguardo all’origine dello stemma, che Baracca scelse, e che oggi grazie a Ferrari tutto il mondo conosce e ci invidia, ci sono due ipotesi. Secondo la prima, già annunciata, si rifarebber alla stilizzazione dello stemma del 2° Reggimento Cavalleria “Piemonte Reale” al quale Baracca apparteneva. La seconda, invece, viene ricondotta alla cavalleria nella pura accezione del virtuosismo del termine. I primi aviatori divenivano assi al quinto avversario abbattuto, e come segno di rispetto per onorare l’avversario dipingevano l’insegna dell’ultimo sul proprio aereo. Il quinto avversario di Baracca, secondo alcune ricostruzione, era un pilota originario di Stoccarda che aveva scelto il simbolo della sua città, la giumenta, come emblema personale. La vicenda è tuttora un piccolo mistero.
Nei primi due anni di guerra Baracca si era guadagnato il grado di capitano ed era stato insignito di numerose onorificenze e il 1° maggio del 1917, venne assegnato alla 91ª Squadriglia in cui erano stati riuniti tutti i migliori piloti del Regio Esercito scelti personalmente da Baracca. In quella che era stata soprannominata "la squadriglia degli assi", erano infatti Pier Ruggero Piccio, Fulco Ruffo di Calabria, Gaetano Aliperta, Bartolomeo Costantini, l'indimenticato Guido Keller, che voleva con un aereo fregiato di un grande Cuore rosso Giovanni Sabelli, Enrico Perreri e Ferruccio Ranza, fregiato da una Civetta nera. Su molti degli aerei, compreso quello di Baracca, compariva poi il "grifone". Simbolo dell'intera squadriglia.
Purtroppo, il 19 giugno del 1918, l'asso degli assi rimase ucciso durante una missione di mitragliamento a bassa quota condotta sulle trincee austro-ungariche nei pressi di Montello, lungo la linea del Piave. Forse bersaglio di un cecchino, forse assassinato da se stesso, con un colpo di rivoltella alla tempia. Triste consuetudine per i piloti da caccia che non intendevano morire bruciati nei loro aeroplani in fiamme. I resti del velivolo e le sue spoglie verranno ritrovati il 23 giugno, dal capitano Franco Osnago, compagno dell'ultimo volo, che raggiunse le pendici del Montello assieme al tenente Ranza.
Baracca aveva 30 anni, sottili baffi, sorriso incerto e occhi scuri, si era guadagnato una medaglia d'oro al valor militare, la croce di cavaliere dell’ordine militare di Savoia, la croce di cavaliere ufficiale della Corona Belga, aveva vinto nel cielo 34 volte.
Così volò anche Ferrari
Tornando al giovane Ferrari, la leggenda narra che questi accettò, senza sapere ancora bene come avrebbe impiegato il cimelio. A quel tempo, the Drake correva come gentleman driver, e guidava le Alfa Romeo, una casa automobilistica già celebre che uno stemma lo aveva. Bastò dare tempo al tempo. L’anno seguente, il 1924, Enzo Ferrari fondò una società con lo scopo di comperare automobili da competizione, modificarle e competere con esse nel calendario nazionale delle gare sportive.
Il 9 luglio del 1932 il Cavallino Rampante trovava di nuovo il suo posto nella storia, sfrecciando alla 24 ore di Spa-Francorchamps su uno sfondo giallo, colore modificato dall’originale bianco in onore della sua città natale, Modena.
Ferrari fonderà su questo il suo emblema. La sua grande conoscenza dei telai automobilistici e il suo sconfinato amore per le auto da corsa portarono alla nascita della ”Scuderia Ferrari” nel 1947. Una realtà che si era dovuta spostare a Maranello per paura dei bombardamenti portati da quella stessa specialità della guerra che ormai aveva maturato tutte le sue più letali capacità. E non era più pioniera, né fin troppo spesso cavalleresca: era solo guerra totale, anche dall'aria.
La scuderia di Ferrari, destinata a divenire vera leggenda dell’automobilismo, debuttò al Gran Premio di Monaco del 1950 dove giunse seconda grazie ad Alberto Ascari. Il resto è storia che conoscerete meglio voi. Come molti grandi legati a doppio filo dalla storia, Francesco Baracca ed Enzo Ferrari non si sono mai conosciuti.
Nacquero quasi nello stesso angolo di terra, e chissà se avrebbero legato. Qualcosa in comune possiamo essere certi che l'abbiano avuta: con le macchine inventate dall’uomo volavano forte. Abbastanza forte da rendere il nostro Paese ben fiero per sempre.