L'Europa si mobilita per combattere l'Alzheimer. Al Parlamento di Strasburgo è stata di recente creata un'Alleanza contro questa malattia per sostenere gli oltre 6 milioni di pazienti nel vecchio continente e le loro famiglie. La Francia, che assumerà la presidenza europea a luglio, ha ribadito la lotta all'Alzheimer come una delle priorità del proprio mandato. Anche l'Italia, seguendo l'esempio europeo, non è esente da impegni nell'ambito delle malattie neurodegenerative: il ministero della salute ha infatti costituito un tavolo di lavoro sulle demenze e nelle ultime leggi Finanziarie sono state destinate risorse economiche mirate alle Regioni. A fronte di questo impegno istituzionale, a che punto siamo oggi nell'assistenza a malati e alle famiglie?
Indicazioni vengono dalla ricerca dellAssociazione italiana malattia di Alzheimer (Aima), realizzata su un campione di 243 familiari e supportata da Novartis. Emergono risultati positivi per le Unità di valutazione Alzheimer (Uva), create per migliorare la tempestività della diagnosi, prestare cure specialistiche di alto livello e assistenza ai malati. Queste strutture si confermano il punto di riferimento: la maggioranza dei pazienti, il 70 per cento, è seguita presso le Uva, anche se con alcune disomogeneità sul territorio. All'interno della famiglia mogli o figlie, sono quelle sulle quali grava di più l'assistenza: il 68 per cento. Il ruolo delle badanti è in crescita: il 37 per cento delle famiglie dichiara infatti di avvalersi del loro aiuto. Il primo riferimento per i malati, in caso di sospetta malattia di Alzheimer rimane il medico di base nel 45 per cento dei casi, mentre il 29 per cento si rivolge direttamente alle Unità di valutazione Alzheimer e il 20 per cento consulta uno specialista. «Nonostante alcuni dati positivi emersi dalla ricerca - spiega Patrizia Spadin, presidente dell'Aima - è ancora allarmante il carico assistenziale per i familiari. Non tutti i pazienti affluiscono alle Uva e per alcuni il medico di riferimento rimane il medico di base. È necessario creare una maggiore rete di supporto che accompagni i familiari in un percorso terapeutico difficile».
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