da Roma
Alleanza nazionale fa una «politica di destra». Altro che «politica di sinistra» rivendicata dal premier. È una questione d’orgoglio, ma non solo. Il «reggente», Ignazio La Russa, invita tutti a non farne «una tragedia» e a cogliere lo spirito della sua «battuta»: ovvero, «noi realizziamo quanto la sinistra non ha fatto». Ma lo sforzo è vano. E il piatto forte, all’Assemblea nazionale, convocata per approvare il percorso verso il Pdl, è la risposta da dare al Cavaliere.
Il primo ad affondare è Gianni Alemanno. «Dire che il governo fa una politica di sinistra - attacca il sindaco di Roma - solo perché intende concentrare la sua azione nel sociale, dimostra la subalternità che abbiamo nei confronti di quella cultura. La nostra battaglia decisiva, invece, è sottrarre la rappresentanza sociale dal radicamento ideologico della sinistra». È poi il turno di Andrea Ronchi. «Mi dispiace, ma non possiamo essere d’accordo con Berlusconi - sottolinea il ministro per le Politiche Ue -. Il suo ragionamento appartiene a un retaggio culturale sbagliato. La sinistra politica è morta, finita. E il premier deve avere il coraggio di dire che stiamo facendo e faremo una politica di destra, che non è una brutta parola».
Insomma, An si ribella. E non è dato sapere se qualcuno abbia letto l’editoriale su Repubblica di Edmondo Berselli, convinto che «soltanto uno schema di destra può predicare un ideale di politica in cui l’opposizione viene compassionevolmente sostituita dal governo». Si sa, invece, che per La Russa confluire nel Pdl «non sarà una scampagnata», anche se, assicura il ministro della Difesa, nessuno «è preoccupato». Il «cono d’ombra», infatti, non esiste. An non si sente stretta nella morsa tra Forza Italia e Lega ed è pronta a competere per la «sfida sui valori».
E va bene pure la ripartizione dei delegati al primo congresso unitario, che si terrà nei «primissimi giorni di febbraio»: 30% ad An, 70% a Fi e al resto. Un «rapporto assolutamente corretto», rimarca il «reggente». In perfetta sintonia con l’Assemblea, «orfana» per la prima volta di Gianfranco Fini, che approva «all’unanimità» la sua relazione. In cui si fissa il «timing» da seguire in estate e in autunno, in vista della stagione congressuale di inizio 2009.
Intanto, mentre Maurizio Gasparri ripete che «bisogna fare subito il Pdl», come fattogli notare da Nicolas Sarkozy, e Altero Matteoli chiede «entusiasmo e determinazione», c’è chi storce un po’ il naso. A dire di stare «attenti ai rischi» è Alemanno. Il più applaudito. Pronto a ricordare la compattezza del partito, ma anche di non volere un «grande contenitore indistinto», con un «moderatismo generico», destinato a essere «subalterno alla sinistra», come avviene già oggi in Europa con il Ppe nei confronti del Pse. Più duro l’intervento di Roberto Menia, non convinto dal «percorso», perché manca di «chiarezza, vitalità, slancio». «Non vorrei vedere Fini fare il generale senza il suo esercito», aggiunge il sottosegretario all’Ambiente. Un rischio che «non esiste», per La Russa, perché «da noi non c’è nessun disertore».
E se An chiede, nell’ambito delle riforme, l’elezione «diretta del premier, o meglio ancora del capo dello Stato, da parte del popolo», si anima pure il dibattito interno sulla legge elettorale per le europee. A lanciarlo, manco a dirlo, è Alemanno. «Bravo, bravo», commenta in sala Mario Landolfi, quando il sindaco rispolvera il voto con le preferenze, per dire stop alle «liste calate dall’alto». Un modo, spiega, anche per togliere linfa alla piazza di Beppe Grillo e Antonio Di Pietro.
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