La Allevi in gonnella: "Il mio pianoforte? Un essere vivente"

Federica Fornabaio ha diretto l’orchestra a Sanremo a 24 anni e ora pubblica un cd

La Allevi in gonnella: "Il mio pianoforte? Un essere vivente"

Milano - Innanzitutto lei ha talento, roba innata, la sua. Federica Fornabaio magari l’avete intravista all’ultimo Festival di Sanremo: all’Ariston ha diretto l’orchestra per i due vincitori, l’artista Marco Carta e la proposta Arisa, caso inedito e mica solo perché a nessuno era mai capitato un en plein così. Federica non aveva ancora 24 anni, la più giovane della storia di Sanremo e forse anche la più elegante, visto come la guardavano gli orchestrali. «Ho riso tantissimo: invece di morire di crepacuore per l’emozione, io ridevo», dice oggi come se niente fosse. D’altronde sul suo pianeta, la musica, il passato è solo il foglio di uno spartito che si gira in fretta. E tra i suoi fogli c’è di tutto, la passione feroce di parlare con le note prima ancora di imparare a leggerle, la voracità adolescente di ascoltare ogni cosa, dalle canzonette fino ai sussurri di Marilyn Monroe, dal menu implacabile della radiolina per poi finire ai dischi (pochi) trovati in casa. «Da me - dice e il suo accento pugliese di Andria è inzuccherato da una voce sensuale - non si ascoltava musica, i miei genitori non se ne interessavano e invece io mi sciroppavo qualsiasi cosa».

Adesso ha un disco pronto, il primo, tutto suonato al pianoforte, da sola, anzi da sola con lui «che è un essere vivente al quale voglio tirare fuori effetti strani, mi piace giocare con i pianissimo e con gli echi, non ho mai pensato al pianoforte come una cosa standard». Lo pensa piuttosto come quello di Ryuichi Sakamoto, «che si lascia sfiorare con tanta delicatezza ma tira fuori emozioni forti e magari potessi avere anche solo un briciolo della sua sensibilità». Però se ascolterete le canzoni del suo cd omonimo che uscirà tra qualche settimana, specialmente quella Nevrastenja che ha un po’ del furore di Rachmaninov ma pure una bella levità pop, allora sì che sarà facile capire che di Federica Fornabaio si parlerà assai, e molto bene. In quella terza via del pianoforte, abbeverata di cultura classica ma stanca, per dire, dei manierismi popular alla Elton John, lei sarà una rivelazione, una sorta di Giovanni Allevi in gonnella, sganciata insomma dai paradigmi, ma capace di farsi capire da tutti, anche da chi del virtuosismo gelido se ne frega perché stantio e autoreferenziale. «Allevi? Lui ha avuto molta risonanza, io spero di far parlare di me solo per la mia musica. Però mi piace, mi piacciono anche Ludovico Einaudi e Nicola Piovani». Quand’è triste, si presume quasi mai visto quant’è entusiasta, ascolta la colonna sonora del Favoloso mondo di Amelie di Yann Tiersen e «mia mamma e mia sorella capiscono che non ce n’è per nessuno». E ride. Da bambina, Federica Fornabaio non giocava con le bambole, figurarsi: «Mi sono sempre sentita stupida a parlare da sola, preferivo vedere in tv i programmi di Walt Disney e odiavo starmene seduta in un posto fisso».

Così girovagava sempre, sin da quando, a sei anni, ha chiesto a papà Mimmo e a mamma Ninì di essere iscritta alla scuola Chopin di Andria fino allo stage di musica da film a Roma quando, roba di tre anni fa, ha suonato davanti a Ludovico Einaudi e al regista Giuseppe Piccioni che si guardavano chiedendosi: ma da quale famosa colonna sonora viene questo brano? Da nessuna, in realtà: era l’inedita Ricordi in fuga, che la Fornabaio ha composto a 17 anni. Perciò ora girovaga sui tasti del piano, imprendibile. «I miei brani - spiega camminando a piedi scalzi sul pavimento - non hanno struttura, sono come racconti: un prologo, uno svolgimento, una conclusione anche se magari durano solo due minuti e mezzo, quelli che mi servono per parlare di cose intime, di negatività, di nevrastenia, di amore, della vita di tutti i giorni».

Parlare. Ma lei non canta. «Però voglio essere chiara con le mie note, non tollero le parti di mezzo, anche quando si mescolano, i colori devono restare pieni». Sarà per questo che al cinema stravede mica per una Kate Winslet qualsiasi ma per Katharine Hepburn, una che nella nettezza aveva la sua ambiguità fascinosa. «Sono sempre andata controcorrente come i salmoni e sai quante inimicizie mi sono fatta per questo, persino alle medie».

A furia di nuotare, passando per l’orchestra Omnia Symphony di Bruno Santori o il teatro canzone di Giorgio Gaber, in onore del quale ha curato il progetto Lafé du Cafè, Federica Fornabaio è quella che se fossimo in America direbbero la «next big thing», la prossima rivelazione. «Se avessi astinenza da emozioni, nulla avrebbe senso», dice lei, prima di tornarsene nel suo mondo, dove cammina a piedi scalzi sulla sua musica ma riesce a farla capire anche a noi, quaggiù.

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