Allievi con le mani in pasta per far uscire dal forno la vera focaccia genovese

Allievi con le mani in pasta per far uscire dal forno la vera focaccia genovese

(...) mezzo litro o poco più d’acqua, e un pizzico di malto, più qualche pizzico di «segreti del mestiere». E soprattutto, vediamo un po’ se ci riescono, loro, quelli che la vera focaccia genovese eccetera, a sfornare un risultato fantastico (e, manco a dirlo, addentabilissimo) come quello che abbiamo ottenuto noi - intendo io sottoscritto, allievo aspirante garzone panificatore in prova, e il mio collega Diego Pistacchi, solo di poco più esperto - nel laboratorio attrezzato da Iscot Liguria di Ascom Confcommercio e dall’Associazione panificatori di Genova e provincia, al piano superiore del mercato di piazza Romagnosi. E sì, dobbiamo riconoscerlo: abbiamo avuto maestri d’eccezione. Senza Lorenzo Giangreco, Mario Di Fazio e Brunello Saettone, artigiani dell’arte bianca, non ce l’avremmo mai fatta. Ma sotto la loro guida sapiente (e paziente, molto paziente!) il miracolo è avvenuto, e abbiamo avuto la soddisfazione di amalgamare ingredienti primari e sapienza antica per far uscire del forno un prodotto (quasi) perfetto. Ma cosa dico «un» prodotto! Abbiamo (cioè: hanno...) fatto una teglia di focaccia col formaggio, un’altra di pizza, e una serie di focacce tradizionali, sale grosso in superficie, grondanti d’olio, ma non troppo, come le voleva il vate Vito Elio Petrucci. Non vi dico poi, anzi ve lo dico: il profumo! Cioè, quella fragranza che ti avvolge e ti entra dentro prima ancora di invadere il palato. Torniamo in moviola: va da sé che a un risultato come questo ci arrivi perché te lo sei meritato. Che vuol dire, come nei testi sacri: c’è il tempo del lavoro e quello del riposo (della pasta, per consentire la giusta lievitazione). Dice: «Devi sporcarti le mani». Di farina, olio, sale, acqua. Bel modo di «sporcarsi», eccellente. Indossiamo la tuta. Viene anche il tempo di pulire: la pulizia è fondamentale, per la madia di casa o per il bancone di acciaio inox finemente levigato di questo laboratorio dell’Iscot che si prepara ad accogliere come allieve, dal 6 aprile, le casalinghe genovesi che si saranno prenotate nella sede Ascom di via Cesarea.
«A mano a mano che si procede con la preparazione - spiega infatti Rosario Bisanzi, vicepresidente dei panificatori - bisogna togliere i residui di lavorazione e procedere a un accurato lavaggio del bancone, prima di posarci sopra le teglie con la focaccia appena lievitata e ormai pronta per la fase finale». Impariamo anche questo, strofinaccio in mano e olio di gomito, ma rigorosamente senza detersivo che lascerebbe l’impronta, e che impronta!, nella pasta. Ma il bello è quando Lorenzo, Mario e Brunello ti danno il permesso di chiudere il «panino» a libretto - «l’é megiu cuscì, sensa schissà troppu» -, e poi di stendere l’impasto fino ai bordi, dargli forma senza strapparlo, e infine schiacciarlo coi polpastrelli a partire dall’alto per ricavarne i famosi, caratteristici incavi - non chiamateli «buchi» - destinati ad accogliere Sua Maestà l’Extravergine. L’ultima tappa è la cottura, da seguire con la stessa cura delle precedenti.

Fortuna che qui, nel «tempio» dell’Iscot dedicato alla focaccia, i macchinari sono all’avanguardia e ti aiutano: dall’impastatrice alla camera di lievitazione a temperatura e umidità controllate, fino al forno che pare un’astronave. Tutto elettronico, ultramoderno, futuristico. La focaccia, invece, è ancora quella. Di ieri e di sempre. Come i panificatori genovesi comandano, e come i golosi, tipo me e Diego, pretendono.

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