Negare l'eutanasia è una scelta vile

In Italia l'eutanasia è già legittima in certi casi, grazie proprio a una sentenza della Consulta. Eppure chi soffre è costretto ad aspettare, a dimostrare, a implorare, a superare ostacoli burocratici indegni

Negare l'eutanasia è una scelta vile
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Caro direttore Feltri,
ho letto che tre italiani su quattro sono favorevoli alla legalizzazione dell'eutanasia e il 65% chiede un referendum per decidere. Mi domando allora: perché la politica continua a tergiversare, a rinviare, a voltarsi dall'altra parte? Possibile che in un Paese laico e democratico la volontà dei cittadini conti così poco? Perché dobbiamo continuare a soffrire, a morire tra le urla e i tubi, mentre altrove si può scegliere come e quando congedarsi con dignità?

Grazie se vorrà rispondere.
Enrico Bellucci

Caro Enrico,
la tua domanda è sacrosanta. E la mia risposta è brutale: perché abbiamo una classe politica vile, ipocrita e pavida, che si genuflette a dogmi religiosi, a moralismi d'accatto, e soprattutto al terrore di perdere voti in parrocchia. Il dato che tu citi, ovvero che il 75% degli italiani sono favorevoli all'eutanasia, parla chiaro. Non c'è bisogno di interpretazioni. È un popolo che ha capito una cosa semplice: nessuno dovrebbe essere condannato a vivere contro la propria volontà, dentro un letto, intubato, paralizzato, ridotto a una carcassa. Tuttavia i nostri politici, anziché ascoltare questo anelito, si trincerano nel silenzio, aspettano che sia la Corte Costituzionale a fare il lavoro sporco, o che qualche giudice coraggioso si prenda la responsabilità che il Parlamento rifiuta. Sono codardi. E sono disumani.

In Italia l'eutanasia è già legittima in certi casi, grazie proprio a una sentenza della Consulta. Eppure chi soffre è costretto ad aspettare, a dimostrare, a implorare, a superare ostacoli burocratici indegni. È come dire a un uomo in fiamme: «Aspetta, prima devi compilare il modulo per l'estintore». Io sono favorevole all'eutanasia da sempre. Non perché mi piaccia la morte, ma perché amo la vita quando è degna. Quando è ancora mia, e non di un medico, di un prete o di un senatore. Morire non è un crimine. Morire non è un peccato. Morire, se lo si sceglie lucidamente, è un atto di libertà.

Solo uno stupido o un sadico può pensare che sia nobile tenere in vita un essere umano contro la sua volontà, immerso nella sofferenza, svuotato di ogni speranza. La vera indecenza non è aiutare qualcuno a morire. È costringerlo a sopravvivere a se stesso. Chi si oppone all'eutanasia non difende la vita: difende la paura. La paura di decidere, la paura della libertà, la paura di ammettere che la morte fa parte della vita e può, se necessario, essere un atto d'amore verso sé stessi.

La verità, caro Enrico, è che questa politica non ha né coraggio né cuore.

Ma prima o poi la diga crollerà.

Perché quando la sofferenza entra in casa, nessun moralista resiste al dolore.

E lì, finalmente, sarà troppo tardi per opporre il veto.

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