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Le "altre" guerre dei volontari viste dal campo

Afghanistan, Bosnia, Angola: così è la vita nei luoghi più pericolosi del mondo

Le "altre" guerre dei volontari viste dal campo

I passaggi fra i ghiacci a seimila metri di quota in mezzo alle indomite vette dell'Hindukush, nel 1987, sono il canale giugulare dei mujaheddin che combattono contro gli invasori sovietici dell'Afghanistan. Alcuni occidentali si avventurano fra le montagne innevate dal Pakistan per arrivare nella valle del Panjsher: giornalisti, spie che portano a mano le foto satellitari delle postazioni dell'Armata rossa e coraggiosi volontari di una neonata Ong francese. Il drappello di Msf composto da un paio di medici e infermiere assomiglia ad una colonna di mujaheddin, ma non ha casse di armi e munizioni. A dorso di cavalli e muli vestiti con la tunica afghana, il turbante e le donne velate trasportano le agognate medicine, materiale sanitario di primo soccorso e rischiano la pelle sotto gli improvvisi bombardamenti dei Mig per aiutare la popolazione ed i feriti della resistenza. La prima volta che li incrocio, zoppicante e dolorante per le lunghe marce, mi rimettono in sesto con l'agopuntura.

Tempi eroici con Msf, fondata nel 1971, che ha già soccorso i boat people, i profughi vietnamiti in fuga dal Vietnam dopo la sconfitta americana e denunciato i crimini dei Khmer rossi. Rony Brauman, allora presidente, che non disdegna le tende nella Cambogia in fiamme, è il primo a lanciare le raccolte fondi di massa via mail. Oggi Medici senza frontiere conta su 7 milioni di donatori, che rappresentano il 97% dei 2,25 miliardi di euro del budget.

Non siamo più ai tempi dell'Angola, terreno di battaglia fra ribelli filo americani e governativi appoggiati dalle baionette cubane con una sola, coraggiosa, infermiera di Msf che presta soccorso per mesi nella savana con mezzi di fortuna.

Medici senza frontiere è un colosso delle Organizzazioni non governative, ma in Africa gli italiani fanno la loro parte. I missionari coinvolgono personaggi leggendari come Pietro Corti, negli anni Sessanta giovane pediatra, che diventa l'anima dell'ospedale Santa Maria di Lacor in Uganda. Da quelle parti mi faccio amico l'orrore con le collinette di cadaveri delle terribili guerre civili africane e scopro questa perla umanitaria sull'Equatore. Un'altra Ong veterana dell'Africa è l'Avsi. Mai coinvolta nelle polemiche ideologiche dei talebani dell'accoglienza, è la più grande Organizzazione non governativa italiana, con sede a Milano, che opera in 40 Paesi del mondo, dall'Estremo Oriente all'America Latina, con 2500 persone sul campo.

Da Nairobi arrivo al lago Turkana con i famosi Dottori volanti per raggiungere il Sud del Sudan straziato dalla guerra civile. Un gruppo di medici che, grazie ad aeroplanini ad elica, portano soccorso negli angoli più sperduti dell'Africa orientale atterrando su improponibili piste di terra battuta.

Le prime ombre sulle Ong spuntano in Bosnia durante il spaventoso conflitto etnico. Volontari musulmani di Islamic relief mescolano gli aiuti alla popolazione a proselitismo e appoggio ai primi adepti della guerra santa. Il battaglione El mujhaeddin di Zenica, comandato da Anwar Shaban, uno degli imam di viale Jenner a Milano, è composto da tagliagole che non fanno prigionieri.

L'11 settembre parto per l'Afghanistan e all'ospedale di Emergency nel Panjsher salvano la nonna afghana con un piede mozzato da una mina, che il nipote ci ha convinto a trasportare per decine di chilometri con il rischio che muoia dissanguata nel cassone del fuoristrada. Dopo settimane di raid aerei sulle linee talebane arriva clandestinamente a dorso di mulo, schivando le bombe, Gino Strada fondatore di Emergency. Attorno ad una pizza cucinata in ospedale con l'aggiunta di un po' di nero afghano nasce un rapporto di odio amore. Grande chirurgo di guerra e avventuroso umanitario, rovina tutto quando parla di politica e schiera la sua Ong contro la Nato.

La guerra al terrore segna le peggiori ambiguità delle Organizzazioni non governative, che spuntano come funghi. I noti Elmetti bianchi in Siria piegano l'intervento umanitario e il soccorso alle vittime del conflitto alla propaganda se non alla collusione con le forze ribelli e jihadiste. Foto o filmati ad hoc, talvolta taroccati ad arte, di bambini insanguinati o civili spappolati, servono non ad aiutare, ma a combattere la guerra in Siria e non solo con altri mezzi. Nella trappola cadono pure grandi Ong, che possono operare solo stringendo un patto con il diavolo, le bande armate sul terreno.

La rotta di collisione con un'ampia fetta dell'opinione pubblica è tracciata dalle Ong del mare. Negli anni d'oro, 2016-2017, con 170mila sbarchi, neppure nascondono la funzione di taxi ampiamente documentata dalla mega inchiesta di Trapani con un agente di polizia sotto copertura infiltrato a bordo della nave di Save the children. Da Sabrata, uno degli hub delle partenze libiche, i trafficanti scortano in gommone i barconi dei migranti fino a sotto il naso delle Ong. Ancora adesso dalla Tunisia utilizzano Alarm phone, centralino dei migranti, per segnalare i barchini in ferro che salpano verso Lampedusa. Un giovane del Chad arrivato a Pozzallo mi spiega candidamente che «i trafficanti, prima di farci partire dalla Libia, consultano sul telefonino un'app che segnala la posizione delle navi delle Ong.

E poi lanciano i migranti verso di loro».

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