Solo in America

Kurt Warner, il commesso che vinse il Super Bowl

Alcune storie di sport americane sono talmente perfette da sembrare finte. Quella del quarterback dei St. Louis Rams, passato da commesso di supermercato a campione del mondo in pochi anni, è stata raccontata dal film "American Underdog"

Kurt Warner, il commesso che vinse il Super Bowl
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I critici degli sport americani sono soliti dire che sembrano migliori di quelli europei solo perché sono raccontati meglio, perché vengono resi più interessanti, al punto di essere in buona parte falsi. A parte qualche eccezione come il wrestling, i vari sport popolari dall’altra parte dell’oceano sono assolutamente veri, ma sanno come valorizzare al meglio quello che hanno. Uno dei temi più cari alla narrazione americana è il mito dell’underdog, il talento sfortunato, nato nel posto sbagliato, trascurato dalla fortuna che, però, tiene duro ed approfitta al meglio dell’unica opportunità che gli concede il destino. Storie del genere esistono anche dalle nostre parti, dall’avanti del Milan Junior Messias, passato da magazziniere a campione d’Italia o anche Luca Toni, dato per finito mille volte prima di alzare al cielo la Coppa del Mondo, ma abbiamo una certa reticenza a celebrarle fino in fondo.

In America, invece, non si fanno problemi del genere: quando vedono una bella storia la propagandano in ogni modo. Poche di queste storie sono straordinarie come quella di un giocatore di un piccolo college dell’America profonda che, dopo aver visto evaporare il sogno della NFL, era stato costretto a lavorare in un supermercato. Eppure, nel giro di pochi anni, quello stesso giocatore avrebbe alzato al cielo il Vince Lombardi Trophy, portando i suoi St. Louis Rams al primo Super Bowl di sempre. La sua storia, raccontata due anni fa nel film “American Underdog”, è allo stesso tempo straordinaria, commovente e rivelatoria di come, in fondo, il mito della terra delle opportunità non sia ancora morto del tutto. Ecco perché questa settimana “Solo in America” vi porta nel Midwest degli Stati Uniti per raccontarvi la vita di Kurt Warner, il commesso che vinse un Super Bowl.

Una vita straordinaria

A prima vista, la storia di questo quarterback sembrerebbe particolare ma non degna di un film con tanto di star hollywoodiane e budget miliardario. Kurtis Eugene Warner è nato il 22 giugno 1971 a Burlington, piccola cittadina dello stato dell’Iowa, famoso solo per gli sterminati campi di grano e che sia il primo dell’Unione a tenere le primarie per le elezioni presidenziali. Kurt se la cavava benino nel football ma non abbastanza per garantirsi una borsa di studio per una delle grandi università che dominano il campionato NCAA. Aveva quindi dovuto accontentarsi dell’università locale, quella del Northern Iowa, faticando molto per trovare posto nella prima squadra.

Ci riuscì nell’ultimo anno, il quinto, solitamente non un gran segno di un futuro brillante nello sport professionistico. Le cose, in effetti, dopo essersi laureato non andarono secondo i suoi piani: nel 1994 fu selezionato da una delle superpotenze della NFL, i Green Bay Packers ma non entrò a far parte del roster della squadra, venendo “tagliato”. Dopo aver aspettato mesi per una telefonata da altre squadre, fu costretto a rassegnarsi ad una vita “normale”, accettando un posto da commesso notturno in un supermercato per mantenere la famiglia.

Kurt Warner NFC Championship 2009

La sua voglia di football, però, era troppa, tanto da fargli accettare di giocare nella squadra locale della Arena Football League, una sorta di versione rustica del football regolare, tutta lanci, violenza e spettacolo. Dopo tre stagioni convincenti, nel dicembre 1997 fu notato dai St. Louis Rams e firmò un contratto con la franchigia del Midwest. Dopo un anno passato ad Amsterdam nello sfortunato campionato europeo organizzato dalla NFL, dove fece molto bene, fu richiamato in patria per fare da rimpiazzo al quarterback titolare. Sebbene molti lo considerassero già troppo anziano e poco mobile, riuscì a trovare un posto in squadra, trasformando i Rams in una squadra tanto spettacolare quanto efficace. La stagione 1999, che li vide vincere 13 partite e perderne solo 3, diede origine al mito del “greatest show on turf”, il più grande spettacolo visto in campo, un attacco tanto incredibile da garantire ai Rams il trionfo nel Super Bowl per la prima volta nella storia della franchigia.

Kurt Warner Cardinals Saints 2009

Warner vinse il titolo di Most Valuable Player, dominando la lega in touchdown segnati, passer rating e percentuale di lanci completati. Due anni dopo, riuscì a trascinare i Rams ad un altro Super Bowl, solo per venire sconfitto dai Patriots del giovanissimo Tom Brady, per poi entrare in un declino tanto repentino quanto inspiegabile. Nel 2005, quando tutti lo davano per finito, andò agli Arizona Cardinals, ritrovando la forma di una volta. Tre anni dopo mise una stagione memorabile, portando la franchigia al Super Bowl. Il confronto con i Pittsburgh Steelers, però, fu troppo per Warner e soci, che finirono sconfitti di misura. Dopo aver perso nei playoff contro i Saints l’anno dopo, appese gli scarpini al chiodo, il secondo nella storia ad aver partecipato a due finalissime con due squadre diverse. Alla prima opportunità, nel 2017, venne indotto nella Football Hall of Fame, come uno dei migliori quarterback di tutti i tempi.

La sua storia? Meglio del film

Una bella storia di sport, non c’è dubbio, ma per capire cosa la renda davvero straordinaria bisogna scendere nei dettagli, quelli raccontati con dovizia di particolari dallo stesso Kurt nella sua fortunata autobiografia, pubblicata nel 2009. A fare particolarmente impressione è il numero di ostacoli e problemi che ha dovuto superare per realizzare il suo sogno da bambino, vestire la maglia di una franchigia professionistica e giocare nella NFL. La sfortuna, in effetti, non c’era andata leggera col ragazzo dell’Iowa, costringendolo a dare fondo a tutte le sue riserve di determinazione e grit, parola intraducibile che assomiglia a quella “resilienza” che oggi va tanto di moda.

Dopo esser stato tagliato dai Packers nel 1994, Kurt si rimboccò le maniche, facendo l’impossibile per mantenere la famiglia. Visto che il posto da assistente dell’allenatore della sua vecchia università pagava pochissimo, accettò di fare il commesso nel turno di notte ad un supermercato locale, guadagnando la miseria di 5,50 dollari all’ora. Le spese erano talmente tante che spesso non ce la faceva a pagare l’affitto, tanto da dover accettare controvoglia di trasferirsi nella cantina della casa dei genitori della sua ragazza.

Zachary Levi American Underdog

Nonostante tutto, però, Warner continuava ad allenarsi e inseguire il suo sogno di giocare nella NFL. Nel 1996 riuscì ad ottenere un provino per un’altra squadra importante, i Chicago Bears ma, ancora una volta, la Dea Bendata gli voltò le spalle. Kurt ha raccontato la storia un paio di anni fa ad un podcast americano. Prima di sapere se i Bears gli avrebbero concesso la possibilità di entrare in squadra, si era sposato ed era andato in luna di miele in Giamaica per qualche giorno. Appena gli fecero sapere che si sarebbe potuto giocare le sue carte, non ebbe nemmeno il tempo di festeggiare, visto che un insetto lo aveva punto proprio sul gomito del braccio che usava per lanciare il pallone. “Ad oggi non so ancora cosa sia che mi abbia punto, ma non potevo assolutamente giocare. Il gomito mi gonfiò talmente tanto da diventare grosso come un pompelmo”.

I dottori dissero che poteva esser stato un ragno o un millepiedi velenoso ma poco importava: ancora una volta il sogno di Kurt era andato in pezzi senza che potesse farci niente. Cosa fece? Niente di che, continuò a giocare lo stesso, segnando touchdown su touchdown con i suoi Iowa Barnstormers, guadagnando poco ma sperando che, prima o poi, la fortuna avrebbe sorriso anche a lui. Non lo sapeva ancora, ma la sua tenacia sarebbe stata ripagata, portandolo finalmente dalle stalle alle stelle.

Kurt Warner Nick Foles

Il colpo di fortuna

Per chi ha visto il film “American Underdog” sembra come se, una volta firmato il contratto coi Rams, tutto fosse già scritto per il povero Kurt Warner. In realtà le cose andarono in maniera molto diversa: nonostante avesse fatto benissimo ad Amsterdam, quando entrò finalmente nel roster di St. Louis, pochi avrebbero scommesso un centesimo su di lui. Nella stagione del 1998 giocò pochissimi minuti e quando i Rams firmarono un contratto con Trent Green, sembrava che il posto da QB1 fosse al di fuori dalla sua portata. Eppure, come sarebbe successo un paio di anni dopo a Tom Brady, fu un infortunio a spianargli la strada.

Durante un incontro amichevole coi Chargers, Green venne placcato da Rodney Harrison, finendo la stagione prima di aver debuttato coi Rams. Coach Dick Vermeil si rese conto che non c’era tempo di trovare un quarterback affidabile e decise di scommettere sul rimpiazzo. Durane una conferenza stampa, Vermeil disse che la squadra “si sarebbe stretta attorno a Kurt Warner, giocando il nostro football migliore”. Più tardi ammise che non era affatto sicuro che ce l’avrebbe potuta fare davvero ma non aveva altra scelta. Per sua fortuna, Warner aveva imparato parecchio giocando nelle arene, tanto da mettere una stagione davvero memorabile.

Kurt Warner 2006

Non fu certo una passeggiata di salute, però, specialmente quando si trattò di convincere l’offensive coordinator Mike Martz, che avrebbe voluto sbarazzarsi al più presto di Warner. Kurt, poco dopo l’uscita del film, ricorda come fu tentato più volte di mollare tutto, tanto si sentiva sotto pressione. “La dinamica tra me e Mike nel film è quasi perfetta. Per rendermi pronto a giocare in prima squadra mi mise davvero sotto torchio. Dopo che ero stato nominato titolare mi disse che avevano dovuto mettermi quanta più pressione possibile per vedere se riuscivo a reggere e non mollare. Non fu un periodo semplice. Ricordo che durante il training camp chiamavo mia moglie dicendo che non potevo farcela, che volevo mollare. In allenamento l’unica cosa che sentivo era ‘fai schifo, devi fare meglio’, nient’altro”.

Mike Martz, qualche anno dopo in un podcast ammise che era stato parecchio duro con Warner: “Nella preseason mettemmo molta pressione su Kurt, lo trattai con molta durezza ma lui rispose come meglio non avrebbe potuto. Quando iniziammo il camp sentivo che in vita sua non si era mai trovato in situazioni estreme, dovevamo vedere come avrebbe risposto. Fui estremamente duro con lui, tanto da rendergli la vita un inferno, massacrandolo ogni giorno in allenamento. Ero sicuro che avrebbe fatto di tutto per farmi smettere ma tenne duro. Rispose talmente bene da fare grossi passi avanti, meglio di come ci saremmo aspettati”.

Martz e Vermeil giurano che senza questa pressione l’attacco dei Rams, tanto straordinario da meritarsi un soprannome veramente pesante, non avrebbe fatto così bene. Il risultato fu evidente a tutti il 30 gennaio 2000, quando nel Super Bowl XXXIV i St. Louis Rams sconfissero in maniera convincente i Tennessee Titans, alzando al cielo per la prima volta il trofeo più prestigioso del football. Vincere con un rookie anziano? Chi se lo sarebbe mai aspettato? Qualcuno che fin dai tempi dell’università non aveva mai lasciato il fianco del suo Kurt e che, caso più unico che raro, è con lui ancora oggi: sua moglie Brenda.

Anna Paquin Zachary Levi American Underdog

L'incontro della vita

Il rapporto tra gli attori Zachary Levi e Anna Paquin è il centro emozionale del film del 2021 ma sembra troppo bello per essere vero. Incredibilmente, tutti i dettagli della storia d’amore tra Kurt e Brenda Warner sono precisi, visto che sono stati proprio loro a seguire da vicino la produzione del film. La coppia si incontrò proprio come narrato nel film, in una serata del 1993, in un bar vicino al campus dell’università del Northern Iowa. Kurt era il quarterback titolare della prima squadra e studiava comunicazioni pubbliche, mentre Brenda, quattro anni più grande, aveva alle spalle un’esistenza molto più complicata. In un’intervista a Fox 2 News, è proprio lei a ricordare il loro primo incontro. “Appena entrò nel bar, tutti iniziarono a dire ‘Kurt è arrivato’ e io non volevo avere niente a che fare con lui. Aveva i capelli tutti impomatati ed era circondato dalle ragazzine del college. Invece di approfittarne, lui faceva come se niente fosse, comportandosi diversamente dai suoi compagni di squadra”. Appena si fece avanti, Brenda gli fece subito sapere che aveva due figli e un divorzio alle spalle, sicura che non si sarebbe fatto più vivo. Il mattino dopo, invece, si presentò con una rosa in mano, chiedendo di incontrare i suoi bambini.

Brenda Kurt Warner ESPYs 2002

Brenda aveva fatto una grande impressione su Kurt, che ricorda cosa pensò subito dopo averla incontrata. “C’era qualcosa di diverso in lei, qualcosa che la rendeva diversa dalle altre. Non era come le altre ragazze al bar o le donne che avevo incontrato fino a quel momento. Quando mi disse che aveva un divorzio alle spalle e due bambini, non ci feci caso più di tanto”. Brenda, nata in Arkansas, si era arruolata nei Marines, diventando caporale, ma aveva dovuto lasciare il Corpo nel 1990 dopo che il suo figlio era rimasto gravemente ferito in un incidente domestico. Il figlio Zack era infatti caduto dalle braccia del padre Neil per un crudele scherzo del destino, perdendo quasi completamente la vista e subendo deficit intellettivi.

Neil non si perdonò mai questo incidente, tanto da condurre la coppia al divorzio. In un’intervista al Los Angeles Times, Brenda raccontò come Neil avesse avuto un tumore al cervello e fosse sottoposto a crisi epilettiche, tanto da renderlo inabile al lavoro. Una vita molto complicata, pochi soldi e un bagaglio emotivo che avrebbe fatto scappare a gambe levate chiunque. Kurt, invece, era rimasto con loro, facendo di tutto per tirare avanti. Quando si sposarono nel 1997, Warner adottò immediatamente Zack e la sorella Jesse, dando il via ad una famiglia che si sarebbe ingrandita negli anni. Oggi Kurt e Brenda hanno avuto altri cinque bambini ed il loro matrimonio rimane solidissimo, un fatto più unico che raro.

Brenda Kurt Warner

Dalla tragedia al matrimonio

Il lieto fine non era arrivato senza un altro colpo mancino che avrebbe potuto rovinare anche il rapporto più solido: la morte dei genitori di Brenda nel 1996, quando la loro casa di Mountain View fu spazzata via da uno dei tanti tornado che colpiscono ogni anno l’Arkansas. Paradossalmente, fu proprio questa tragedia a spingere Kurt a sposare la sua Brenda. Nel film sembra che i due fossero ancora poco convinti quando la tragedia colpì la loro famiglia ma la moglie dell’ex QB dei Rams ricorda le cose in maniera diversa. “Stavamo insieme da quattro anni ma non aveva ancora deciso se ero davvero la persona giusta. Quando i miei genitori sono morti ho ripensato il nostro rapporto. Cosa è importante, cosa voglio da questa relazione, ci sarai anche tra 10 anni? Penso che fu più Kurt a cambiare marcia. Io sapevo che era la persona giusta per me, anche se non era certo semplice uscire con una come me. Ci volle questa tragedia per convincerlo a chiedermi di sposarlo”.

Kurt ammise in un’altra intervista che aveva qualche dubbio. “Specialmente quando ci siamo incontrati ero un ragazzino che sognava di giocare nella NFL. Abbiamo iniziato ad uscire, tutto andava bene ma non ero del tutto convinto. Quando successe quella tragedia, tutto diventò maledettamente serio”. Fu in quel momento che capì di dover rendere tutto ufficiale, non solo per Brenda ma anche per rassicurare i suoi figli. “Fu un momento chiave nella mia vita in molti aspetti diversi, mi convinse a mettere da parte i dubbi. Mi dissi: ‘non serve a niente stare qui a rimpiangere il passato, hai una famiglia che ha bisogno di te o qualcun altro che si rimbocchi le maniche e li aiuti ad andare avanti dopo questa tragedia’. Da quel momento in avanti, le cose si mossero molto in fretta". L’11 ottobre 1997, quattro anni dopo il loro primo incontro, Kurt e Brenda si sposarono a Cedar Falls, Iowa. La cerimonia avvenne nella chiesa luterana di St. John, la stessa dove, un anno prima, si erano tenuti i funerali dei genitori di Brenda. Le loro vite non sarebbero più state le stesse.

Zachary Levi Kurt Warner

"Senza di lei non ce l'avrei fatta"

Uno degli aspetti della vicenda di Kurt Warner che il film ha deciso di ignorare è uno dei più essenziali nella sua esistenza: la sua profonda fede cristiana. Subito dopo aver vinto il suo primo Super Bowl, intervistato dal cronista della ABC Mike Tirico, con centinaia di milioni di spettatori che lo stavano vedendo, invece di rispondere alla domanda, Kurt Warner decise di ringraziare chi l’aveva condotto fino a quel momento di gloria. “Prima di tutto devo ringraziare il mio Signore e Salvatore su in cielo – grazie Gesù”. Non fu una sparata casuale, una mossa calcolata per ingraziarsi quella America profonda che gli aveva dato i natali: la fede è sempre stata la stella polare dell’esistenza sia di Kurt che di Brenda Warner. Se i registi del film, i fratelli Erwin, hanno deciso di glossare su questo aspetto poco popolare ad Hollywood, Kurt aveva dichiarato al Los Angeles Times che fu la profonda fede di Brenda a convincerlo che era la persona giusta per lui. La moglie, poi, non ha mai nascosto come senza l’appoggio della fede, non avrebbe potuto reggere all’incidente del figlio o alla morte improvvisa dei genitori.

Vedere il proprio rapporto dipinto sul grande schermo è una prospettiva capace di innervosire chiunque, specialmente visto che il rapporto tra Hollywood e la cristianità non è mai stato semplice. Per non saper né leggere né scrivere, Kurt e Brenda sono stati coinvolti in ogni aspetto della produzione del film fin dal primo momento. Mentre Kurt dava consigli a Zachary Levi su come tirare un pallone da football e come muoversi in maniera verosimile sul campo, invitarono sia lui che Anna Paquin a passare diversi giorni a casa loro, in famiglia, per osservare dal vivo come interagiscono ogni giorno, quando le telecamere sono spente. Per circa metà delle riprese, poi, erano presenti sul set, pronti ad aiutare gli attori a ritrarli in maniera fedele.

Un rapporto veramente unico, una vicinanza di intenti poco comune in questi tempi complicati, che Kurt non ha mai nascosto a nessuno. Anche nel momento del suo maggior trionfo, il 18 gennaio 2009, dieci anni dopo la vittoria del Super Bowl, quando portò i Cardinals in finale, il pensiero di Kurt Warner andò alla compagna di una vita. Appena finita la partita disse che “niente di questo ha senso se non lo puoi condividere con qualcuno. Ho la fortuna di condividerlo con la mia migliore amica e con la persona che amo più di ogni altra cosa al mondo, mia moglie. Siamo arrivati qui insieme e non avrei potuto farlo con nessun altro. Senza di lei non ce l’avrei mai fatta”.

Kurt Warner

Le omissioni del film

Anche se “American Underdog” è molto fedele all’originale, non manca qualche licenza artistica e qualche piccola imprecisione. Il punto chiave della storia di Warner, gli anni passati a riempire gli scaffali dell’Hy-Vee della sua cittadina di notte per aiutare Brenda ed i suoi figli, sono successi davvero ma il film preferisce ignorare il fatto che il giorno lavorasse come assistnte dell’allenatore della squadra della sua vecchia università. Se il film mostra quanto Kurt avesse dovuto lavorare per convincere coach Allen a dargli spazio in prima squadra, ignora il fatto che il loro rapporto continuò anche dopo la laurea. La cosa, onestamente, è abbastanza comprensibile, visto che è lo stesso Warner che parla molto più del suo lavoro notturno che del tempo passato a Northern Iowa.

Il film, poi, preferisce non scendere nei dettagli quando parla del periodo passato con gli Iowa Barnstormers e su quanto la AFL fosse popolare nella seconda metà degli anni ‘90. Dal punto di vista della narrazione è importante far notare come, nonostante avesse due lavori, di soldi ce ne fossero sempre pochi ma si preferisce accentuare gli aspetti folkloristici dell’arena football. Non era certo ricca come la NFL, ma la lega aveva un seguito non indifferente e veniva regolarmente trasmessa da canali televisivi locali. Con la squadra di Des Moines, Kurt Warner passò ben tre anni, dal 1995 al 1997, causando più di un problema al rapporto con Brenda, visto che per diversi mesi era raramente a casa. Il tryout coi Chicago Bears del 1997, poi, è del tutto ignorato, probabilmente per evitare confusione con il taglio di tre anni prima da parte dei Packers. Un’omissione comprensibile ma comunque piuttosto rilevante.

Altra “dimenticanza” è poi il fatto che dalla prova coi Rams mostrata nel film e il debutto nella NFL passarono quasi due anni. L’anno passato con gli Admirals in quel di Amsterdam è del tutto ignorato, come il fatto che, dopo la fine della stagione della NFL Europe, fosse tornato a disposizione di coach Vermeil come terzo quarterback dei Rams. Dopo qualche minuto giocato nel finale di stagione, era stato praticamente messo sul mercato da St. Louis, tanto che i Cleveland Browns l’avrebbero potuto selezionare nel draft. Non è certo un elemento trascurabile ma i registi hanno deciso di lasciarlo da parte, concentrandosi sul “debutto” da titolare contro i Ravens nella stagione 1999, quella del “Greatest Show on Turf”, l’inizio ufficiale della leggenda di quei devastanti Rams. Cambia qualcosa? Non molto. La storia di Kurt Warner rimane straordinaria.

Kurt Warner Super Bowl LI

L'underdog nella Hall of Fame

Come succede nei film di Hollywood, quel che succede dopo nella vita del campione viene riassunto in un montaggio elegante che tralascia molte cose. Nei 23 anni passati dal trionfo al Super Bowl, molto è cambiato nella vita di Kurt e Brenda Warner. Se le sue due sconfitte nei Super Bowl del 2001 e del 2009 sono brevemente citate, il fatto che l’ex QB dei Rams abbia giocato sia per i New York Giants che per gli Arizona Cardinals è ignorato. Kurt Warner, poi, è diventato una presenza costante per gli appassionati di football, stavolta non sul campo ma dietro ad un microfono. Dopo aver lasciato la NFL nel 2010, è tornato a Des Moines, facendo le telecronache dei suoi Barnstormers, per poi passare qualche anno dopo al ruolo di analista per il canale tematico della lega, NFL Network. Ormai è una presenza familiare per chi ami la palla ovale, uno dei commentatori più popolari e rispettati del mondo del football.

Al suo fianco, ieri come oggi, la donna che ha reso tutto possibile, l’ancora che non l’ha mai abbandonato da quel giorno del 1993 al Wild E. Coyote Bar, con la quale ha costruito una famiglia e un’esistenza davvero straordinaria. Kurt Warner non ha mai dimenticato le nottate passate a riempire gli scaffali di quel supermercato di provincia, sognando un futuro che continuava a credere possibile, nonostante tutti gli dicessero che fosse pazzo. Da allora, nonostante abbia vinto tanto, ha provato sempre ad aiutare i meno fortunati, impegnandosi in prima persona in molte campagne benefiche, tutto senza mai cedere alle pressioni dei media o nascondere la sua profonda fede.

Nel 2017, nel discorso col quale accettava di entrare nella Hall of Fame, invece di ricordare i trionfi personali, ha voluto ringraziare Dio e Brenda, ricordando a tutti che non sai mai quali saranno i momenti chiave della tua vita. Meglio goderseli e trarre il massimo da ognuno di loro. La sua autobiografia ha voluto chiamarla “All Things Possible”, tutte le cose sono possibili, allo stesso tempo un’ovvietà e una profonda lezione di vita.

Retorica? Scontata? Forse, ma non lo è anche la vita di tutti noi? Una cosa è certa: una storia del genere è possibile solo in America.

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