Baudo, che ipocrisia il culto postumo

Baudo è stato protagonista assoluto della televisione per decenni, ha dato volto e voce all'intrattenimento italiano, ha incarnato il modello del nazional-popolare. Poi, una volta archiviata la sua stagione, nessuno se n'è più occupato. Silenzio assoluto

Baudo, che ipocrisia il culto postumo
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Gentile Dottor Feltri,
sono quello che le inviò la foto del paese «Gnocca».
Non le scrivo però per quei bei tempi bensì per la esagerata santificazione di Baudo. Guerre, sconvolgimenti di ogni tipo, i telegiornali in toto interamente dedicati a Pippo. Per carità una brava persona ma in fondo un televisionaro «Nazional popolare». È sempre un piacere leggere i suoi pezzi.

Grazie.
Cesare Gerolimetto

Caro Cesare,
hai ragione: la santificazione postuma di Pippo Baudo, che in vita era stato ridotto quasi all'oblio, è un esercizio nauseante di ipocrisia collettiva. Da sabato scorso, quando il presentatore è morto, non c'è telegiornale, talk-show o rete televisiva che non abbia trasformato la sua figura in oggetto di un culto ossessivo. L'abbiamo visto dappertutto: speciali interminabili, collegamenti in diretta dai funerali, interviste a colleghi e presunti amici che fino a ieri si erano ben guardati dal ricordare persino la sua esistenza.

Il punto è proprio questo: Baudo è stato protagonista assoluto della televisione per decenni, ha dato volto e voce all'intrattenimento italiano, ha incarnato il modello del nazional-popolare. Poi, una volta archiviata la sua stagione, nessuno se n'è più occupato. Silenzio assoluto. Non se ne è parlato per lustri, come se fosse un soprammobile dimenticato in soffitta. E ora, improvvisamente, con il suo trapasso, diventa patrimonio intoccabile, simbolo di italianità, eroe nazionale. Ma cosa significa tutto questo se non che siamo un popolo di smemorati, pronti a fingere commozione soltanto davanti a un cadavere?

Mi domando: perché la Rai non gli ha riservato attenzione quando era vivo, relegandolo piuttosto a comparsate marginali, trattandolo quasi come un reperto archeologico? Perché la cultura dominante ha finto che non esistesse, salvo poi rimetterlo al centro della scena ora che non può più dire la sua?

La verità è che ci ricordiamo delle persone solo quando non ci sono più, e questo non è omaggio, è scherno. È come dire: sei utile solo da morto, perché da vivo ci metti a disagio.

Il problema, vedi, non è semplicemente Pippo Baudo. È il nostro costume nazionale: ignorare, trascurare, voltare la faccia dall'altra parte e poi, una volta che cala la bara, intonarci in coro da comari, trasformando il defunto in un mito. Un mito posticcio, perché se fosse stato davvero considerato tale, lo avremmo trattato come un gigante mentre era ancora fra noi, non quando già marcisce.

Siamo ipocriti? Indifferenti? Probabilmente entrambe le cose. Siamo un popolo che celebra la memoria per non dover affrontare la realtà. Preferiamo piangere i defunti piuttosto che rispettare i vivi. Forse perché i vivi ci costringono a fare i conti con i nostri limiti, i nostri errori, le nostre gelosie.

I morti invece sono innocui, possiamo appiccicargli addosso tutte le etichette che vogliamo, non si difendono.

Così è andata con Baudo: da «vecchio arnese» dimenticato a «colonna della Nazione». Un teatro che dice molto più di noi che non di lui.

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