
«Adesso ci stiamo concentrando sulle garanzie di sicurezza all'Ucraina. Si lavora su due binari: quello militare per chiarire cosa si può fare e diplomatico verso la formula, nero su bianco, del modello articolo 5», spiega al Giornale chi segue il dossier in prima persona. La strada per la «pace» è zeppa di ostacoli, ma si sta procedendo, passo dopo passo, come mai prima nei precedenti tre anni e mezzo di guerra.
Il vertice di Washington con il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky e i 7 moschettieri europei, ha «confermato l'accelerazione impressa dal presidente Trump e soprattutto che gli Stati Uniti parteciperanno nel garantire la sicurezza dell'Ucraina». Non se ne parla di truppe sul terreno come ha sottolineato la Casa Bianca, ma si fa strada una copertura aerea, satellitare e d'intelligence. All'inizio dell'invasione gli ucraini avevano chiesto una «no fly zone», ma significava la terza guerra mondiale con la Russia padrona dei cieli. Se mai si arriverà ad una «pace», più o meno armata, potrebbe essere uno dei punti dell'accordo. La riunione dei capi di stato maggiore degli eserciti Nato di ieri inizia a gettare le basi per gli aspetti militari. Inglesi e francesi insistono sull'invio di truppe limitato a consiglieri ed istruttori, lontane dalle linee del fronte, anche se il presidente Emmanuel Macron ha dichiarato di volere un contingente operativo «in mare, cielo e terra». I russi hanno più volte ribadito, che non accetteranno mai un solo scarpone Nato sul campo. Il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, propone qualcosa di simile all'articolo 5 dell'Alleanza atlantica, che farebbe intervenire tutti in caso di nuovo attacco russo con Kiev fuori dalla Nato. E ha chiesto agli alleati più riottosi «perché non va bene un modello puramente difensivo?».
Militari e diplomatici, coordinati dal segretario di Stato Usa, Marco Rubio, sono impegnati a concretizzare la linea sulle garanzie di sicurezza «nel giro di 7-10 giorni», sostiene la fonte. Trump voleva il faccia a faccia, Zelensky-Putin, questa settimana, ma è stato convinto che bisogna avere tutte le carte a posto procedendo passo dopo passo. Da fine agosto in poi si deve passare all'incontro fra capi di stato ucraino e russo, ma non è ancora chiaro se con o senza Trump, che nel caso parteciperebbe ad un terzo vertice finale. Nello studio ovale non si è parlato di territori e scambi alla presenza dei leader europei. Zelesnky vuole ritagliarsi il nodo più complicato per il negoziato diretto con Putin e ne ha discusso solo con Trump. «L'impressione è che gli ucraini abbiano capito che devono cedere su qualcosa, ma non tutto il Donbass - fa notare la fonte -. Trapela un possibile punto di equilibrio, ma la vera domanda è se Putin vuole veramente chiudere l'accordo».
Il ministro egli Esteri russo, Sergei Lavrov ha cominciato a fare marcia indietro sui territori da ottenere parlando più vagamente di diritti della popolazione russofona. E poi ha rispolverato l'idea di coinvolgere la Cina come forza di garanzia o interposizione, che era già emersa nel 2022 ai primi negoziati ad Istanbul. Nei giorni immediatamente successivi al summit con Trump in Alaska, il nuovo Zar ha chiamato al telefono i leader indiano, sudafricano e brasiliano del Brics. Paesi più neutrali della Cina, che potrebbero offrire truppe per il 25% del Donbass ancora in mano ucraina. I russi non otterrebbero più territorio di quello occupato, ma chiederebbero il ritiro ucraino lasciando il controllo ad una forza internazionale. «Ci sono diverse opzioni sul tavolo, ma il tema dei territori seguirà quello delle garanzia di sicurezza e verrà discusso direttamente da Zelensky e Putin», spiega la fonte del Giornale.
Per farlo bisogna trovare la sede del vertice e lo Zar deve convincersi a sedersi attorno ad un tavolo con il presidente ucraino. L'ultima proposta di Budapest non va bene a Zelensky ed emerge la candidatura di Vienna, ex crocevia della guerra fredda, ma Ginevra rimane l'ipotesi più concreta.