Milano - La parola stallo non è mai piaciuta ai mercati per il senso di indeterminatezza che incorpora. È con questa condizione che le Borse dovranno però forzatamente convivere fino a quando non sarà approvato il maxi-piano da 700 miliardi di dollari, messo a punto dal Tesoro Usa per salvare il sistema finanziario. Frettolosamente dato per scontato giovedì scorso, l’accordo non è invece arrivato.
Ma sono anche altre le nubi minacciose che si vanno addensando sul mondo finanziario. Nubi che attraversano l’Europa. E sembrano promettere tempesta. Voci di bancarotta hanno scandito ieri un tam-tam funebre sulla belga-olandese Fortis. Un colosso: tra i primi 20 istituti bancari mondiali, attivi in gestione pari a 445 miliardi di euro e ricavi per 120,5 miliardi. E 85mila dipendenti, da ieri tutti preoccupati nonostante i vertici del gruppo abbiano smentito l’imminenza di un crac. Sta di fatto che Fortis ha cacciato l’amministratore delegato e deciso di vendere tra i 5 e i 10 miliardi di attività per far cassa. Il caso è stato al centro di una discussione da parte del governo olandese. Quello belga ha fatto di più, promettendo aiuti in caso di disastro: «Come ovunque altrove in Europa, non lasceremo nessun cliente in difficoltà in Belgio», ha detto il ministro delle Finanze, Didier Reynders.
Insomma, le cose non vanno granché bene. Anche la banca inglese Hsbc, costretta a licenziare 1.100 dipendenti, è sul filo del rasoio. E le Borse lo hanno subito registrato, facendo scendere i titoli Fortis del 20% e quelli Hsbc del 10%. Nel complesso, una giornata nera: 120 miliardi di euro di capitalizzazione sacrificati da ribassi compresi tra l’1,5% di Parigi e il 2,1% di Londra. A Milano il Mibtel è sceso dell’1,5, portando la perdita settimanale a sfiorare il 3%.
Wall Street, dopo una partenza negativa, è invece riuscita a raddrizzare il tiro grazie alle parole con cui la portavoce dell’amministrazione Bush, Dana Perino, ha detto di prevedere che un accordo sarà raggiunto entro lunedì prossimo. Il Dow Jones ha chiuso in rialzo dell’1,2%, mentre non ce l’ha fatta il Nasdaq (-0,15%). L’America resta comunque l’epicentro del terremoto. Ieri è toccato a Washington Mutual arrivare al capolinea spinta da una terribile carenza di liquidità, mentre sotto i colpi delle vendite il valore del titolo veniva praticamente azzerato trascinando al ribasso anche Wachovia, in ribasso fino al 25% prima che il New York Times rilanciasse l’ipotesi di una fusione con Citigroup. Con Washington Mutual, chiude i battenti la più grande cassa di risparmio americana, le cui attività (1,9 miliardi di dollari) passano a JP Morgan, già intervenuta in occasione del crac di Bear Stearns. Il segnale è pessimo: è il maggior fallimento nella storia del credito a stelle e strisce e indica che la crisi è arrivata a colpire anche le banche commerciali dopo aver messo in ginocchio merchant bank e finanziarie.
Sotto il profilo congiunturale, le possibilità di una tenuta dell’economia nei prossimi mesi sono appese a un filo. Con legittima preoccupazione, è stata accolta ieri la revisione al ribasso della crescita del Pil nel secondo trimestre da un confortante più 3,3% a un meno rassicurante 2,8% provocato dalla forte contrazione dei consumi. Un passo che, oltretutto, ben difficilmente l’America riuscirà a mantenere alla fine del periodo compreso tra giugno e settembre.
Oltre che sulle misure predisposte dal segretario al Tesoro, Henry Paulson, i mercati si aggrappano anche alla Federal reserve. I future sui Fed Fund accreditano il 100% di possibilità che Ben Bernanke tagli i tassi il mese prossimo.
Una drastica riduzione del costo del denaro è la misura che la Fed dovrebbe prendere, secondo un’analisi del Wall Street Journal, nel caso gli Usa scivolassero nella deflazione (calo eccessivo dei prezzi) a causa della crisi del credito. Gli altri scenari prospettati dalla bibbia della finanza contemplano una recessione o, peggio, una fuga dal dollaro che porterebbe i tassi in alto gelando ancor di più l’economia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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