Amazon e Google vogliono i nostri soldi

I colossi dell'hi-tech si trasformano in banche, il bitcoin e le altre monete virtuali entrano nei portafogli degli investitori, le banche centrali studiano le loro valute digitali: la rivoluzione del denaro è iniziata

Amazon e Google vogliono i nostri soldi

La moneta digitale presto scaccerà quella cartacea. La pandemia sta accelerando i pagamenti online, il processo sembra inarrestabile. Vale anche per chi questo denaro sarà chiamato a conservarlo per noi. Sarà una banca? Potrebbe essere Facebook, Google o persino Amazon, con le loro criptovalute. Siamo in mezzo a una delle più sorprendenti rivoluzioni che riguardano il nostro denaro, eppure se ne sa ancora pochissimo. La svolta inizia dalle cosiddette criptovalute o criptoasset. La più famosa è il Bitcoin (Btc), il cui Protocollo fu creato nel 2009 da un anonimo sviluppatore informatico (o da un collettivo di hacker) con lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto. Dietro Bitcoin non c'è una banca a «garantire» il valore: ce ne saranno al massimo 21 milioni, ma ne circolano, ad oggi, circa 18,69 milioni; ce li si scambia in modalità peer-to-peer, oppure si possono «estrarre» (mining in inglese) con potenti computer dedicati, partecipando a un processo di calcolo che porta alla formazione di una stringa alfanumerica chiamata hash.

IL VALORE DEI CRIPTOASSET

Attualmente il miner che vince il puzzle computazionale ottiene 6,25 Btc per ogni nuovo blocco convalidato, oltre alle commissioni associate alle transazioni contenute in ciascun blocco. Il sistema di crittografia valida e rende sicure tutte le transazioni, in cambio di uno sconto sulle commissioni e una piccola parte dei Bitcoin appena creati. Parliamo di un totale di transazioni da più di 10 miliardi di dollari all'anno. Un Bitcoin valeva quasi nulla (0,01 euro) nel lontano 2009, ora si è assestato intorno ai 30mila euro, ma c'è chi dice che possa arrivare a 100mila. Bisogna maneggiarlo con cura perché è soggetto a grande volatilità. Almeno 1 italiano su 10 avrebbe già acquistato criptovalute, uno su sei sogna di farlo, tanto che la Consob ha lanciato l'allarme: «Per inseguire facili guadagni le famiglie investono sempre di più su trading online e cripto attività», a fronte di una «colossale ignoranza finanziaria», come conferma Luca Lixi, co-fondatore di Aegis SCF e Ceo di Lixi Invest. «Data la mancanza di un'alfabetizzazione digitale il rischio è che questa gigantesca costruzione si stia erigendo su fondamenta d'argilla», sottolinea William Nonnis, Blockchain developer in Enea.

Oltre ai Bitcoin ci sono circa 3mila criptovalute: le più famose sono Ether, Litecoin, Shiba Inu e Dogecoin. Il loro valore è in calo perché, a causa dell'inflazione record negli Usa, giocare con titoli di Stato e obbligazioni è più redditizio e dannatamente più «sicuro». Il mining è una pratica costosa, servono importanti investimenti in software Asic (processori specifici ottimizzati per il mining) per acquistare il wallet e le chiavi crittografiche, è «energivora», ed è vietata in alcuni Paesi come la Russia o la Cina. Farlo da soli è poco vantaggioso: ci sono infatti vere e proprie mining farm (come a Singapore) organizzate per contenere i costi o pool di miners che condividono la potenza di calcolo dei pc per massimizzare l'obiettivo. In alcuni Stati Usa il mining avviene solo con energia idroelettrica, a emissioni zero. Sul mercato sono già arrivate le prime stablecoin, criptoasset in qualche modo «ancorati» a una valuta, all'oro o ad altri panieri di beni ed il cui valore rimane, dunque, stabile nel tempo. Mentre le dichiarazioni sulle riserve in dollari di Thether (Usdt) si sono verificate alquanto lacunose, altre stablecoin hanno divulgato informazioni più affidabili come Gemini Dollar (Gusd) dei fratelli Winklevoss o Paxos (Usdp), che mantiene un rapporto 1 a 1 con il dollaro statunitense. Ma come il mondo delle criptovalute rischia di «contaminare» l'economia reale? Alcuni Paesi come il Salvador hanno iniziato un processo di «criptoizzazione»: comprano criptoasset invece delle valute locali. In Canada c'è un Etf che compra Bitcoin per conto degli investitori. Altri Paesi come il Giappone - dove il contante pesa per il 70% delle transazioni - pensano a un criptoyen entro l'anno. In gergo si chiamano Cbdc, Central bank digital currency. Persino l'Unione europea ci sta ragionando su: «Presto l'euro digitale - spiega Fabio Panetta della Bce - sarà un mezzo di pagamento semplice, sicuro e affidabile. Il contante non sarà ritirato, finché i cittadini lo vorranno», è l'auspicio del banchiere.

CALCIO E AFFARI

Il calcio è pieno di sponsor che magnificano criptovalute e blockchain, dando ai tifosi in cambio di soldi «veri» token (ossia gettoni) virtuali o i cosiddetti Nft (Non-fungible token), certificati digitali di prodotti «reali». Fan Token finanzia l'Inter, Zytara nerazzurri e Roma, Binance la Lazio, BitMEX e Bitget hanno investito su Milan e Juventus. Il Paris Saint Germain ha lanciato la sua Fan Token, e il suo prezzo è aumentato di venti volte. Con un rischio reputazionale. Quante squadre di calcio, pur di ottenere i fondi dai magnati dell'industria cripto, hanno sorvolato sulle sanzioni regolamentari cui sono stati soggetti i loro nuovi sponsor? Già, perché la contaminazione tra economia reale e criptoeconomia non è esente da pericoli. «Mentre l'emissione di criptovalute minaccia la sovranità monetaria - osserva Giuseppe Miceli, esperto in materia di Antiriciclaggio - in Italia registriamo l'ennesima riduzione della soglia di spendibilità del contante . C'è il rischio di un Signoraggio 4.0. Perché come dal Medioevo all'Ottocento chiunque poteva portare un pezzo d'oro alla Zecca pubblica per farlo coniare, così oggi acquisto criptovalute (magari utilizzando denaro sporco), le utilizzo per acquistare Nft o altri criptoasset che poi rivendo e infine cambio le criptovalute ricavate in moneta legale. Così facendo il denaro sporco è stato ripulito, con il benestare placito del conio». Sebbene sin dal 2017 (dopo la IV Direttiva europea antiriciclaggio) in Italia gli exchange di criptovalute sono soggetti alla normativa antiriciclaggio, il rischio è più concreto di quanto si pensi: «Le criptovalute sono tra le più pericolose quando si parla di pagamenti anonimi, ci sono migliaia di virtual asset che permettono contrattazioni finanziarie senza bisogno delle banche», lamenta il procuratore nazionale Antimafia Federico Cafiero de Raho, anche se lo pseudoanonimato, il più delle volte, è svelato attraverso l'analisi forense delle blockchain. Ma servono mezzi idonei e risorse per le autorità giudiziarie, di vigilanza e per gli intermediari vigilati, sottolinea un esperto al Giornale. «Nel nostro Paese - ricorda il consigliere per la Cybersecurity del Sottosegretario alla Difesa Ranieri Razzante -, l'anno scorso ci sono stati almeno 110mila alert per possibili infiltrazioni di hacker alle infrastrutture critiche».

IL FUTURO CHE CI ASPETTA

Useremo un criptoasset per pagare un caffè? Ci vorrà molto tempo. Secondo Bankitalia «il modello di crescita del Paese attraverso l'economia digitale è ancora in buona parte da realizzare». Mentre gli stipendi dei sindaci di New York o Miami sono già pagati in criptovalute in Italia non tutti hanno lo Spid, molte amministrazioni non accettano pagamenti digitali, ancora oggi i tabaccai pagano ai Monopoli le sigarette in contanti mentre ci sono pagamenti peer-to-peer attraverso criptovalute e gift card. Il mondo vola in aereo e qui siamo ancora con l'asinello. Quindi? Per l'ex ministro Corrado Passera, fondatore e Ceo di Illimity Bank, in Italia serve una moneta sovrana che contrasti la colonizzazione dei criptoasset nei cosiddetti sistemi di pagamento digitali, visto che, secondo il broker Xtb, sarà questo il trend del 2022. App di smart payment come Satispay, Google pay, Apple pay o Samsung pay e sistemi basati su blockchain soppianteranno bonifici, carte di credito e bancomat? Paypal sta pensando ad una stablecoin, quella di Facebook si chiamerà Diem. «Cosa succederebbe se una piattaforma di e-commerce o un social network lanciasse la sua stablecoin e conquistasse una quota significativa del commercio mondiale?», si chiede Passera. La sfida sarà tra le criptovalute delle Big Tech con un'utenza globale e trasversale, dall'altra le digital currency delle banche centrali. Diversi Paesi, economicamente più deboli, dovranno valutare bene quale adottare.

Se Jeff Bezos ci chiedesse di gestire i nostri soldi con la stessa affidabilità con cui oggi ci consegna i pacchi, in cambio magari di un token o di un Nft convertibile in prodotti Amazon, chi potrebbe resistere? E siamo così sicuri che il contadino di uno dei Paesi in via di sviluppo, munito di smartphone, preferirà l'eventuale criptovaluta locale o sovranazionale ai Google Coins?

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