Una catastrofe, o forse uno choc salutare. Votando no al pacchetto finanziario da 700 miliardi di dollari, i deputati americani non hanno negato la necessità di un piano di sostegno a un’economia disastrata, ma hanno chiuso la porta in faccia a una classe dirigente di cui non si fidano più. Una liberazione, una catarsi. È come se l’America avesse riscoperto improvvisamente i suoi valori più autentici, scolpiti nella Costituzione e ancor di più nell’animo dei suoi cittadini.
Il no di ieri è un solenne schiaffo alla casta politica e finanziaria che ha gestito l’America negli ultimi anni. A George Bush, ovviamente, ma anche ai leader del Congresso sia democratici che repubblicani e a quei personaggi come l’attuale segretario al Tesoro Henry Paulson che hanno trasformato Washington in una porta girevole di Wall Street. Lui è arrivato alla testa del più importante ministero direttamente dalla Goldman Sachs, di cui era presidente, ma c’è chi ha percorso il cammino opposto, come Robert Rubin, numero uno delle finanze ai tempi di Clinton, passato poi a Citigroup.
L’establishment ha fatto leva sulla paura, avvertendo che se il piano fosse stato respinto l’economia sarebbe crollata. La paura come dopo l’11 settembre, come prima della guerra in Irak. Di solito in questi frangenti gli Usa abbandonano le polemiche e si uniscono dietro il comandante in capo.
Questa volta no. Qualcosa si è rotto. O forse è l’America che ha ritrovato se stessa. La crisi dei mutui, anziché paralizzare il Paese nell’angoscia, ha spezzato l’incantesimo. I cittadini si sono improvvisamente resi conto che le regole del gioco non erano quelle in cui avevano sempre creduto, che la casta aveva giocato sporco per anni e ora invocava l’assoluzione con tre Ave Maria e scaricando i costi sulla comunità. Non tutto è perduto, ma il messaggio che esce dal Parlamento è netto: il governo rimetta mano a un piano che, come hanno osservato molti economisti, presentava troppe zone d’ombra. Lo ripulisca, lo renda più equo e trasparente e verrà approvato senza problemi, sempre che Wall Street sia disposta a pazientare ancora un po’.
Sono stati gli elettori a spingere i deputati alla ribellione. Migliaia di persone hanno sommerso di e-mail e telefonate gli uffici dei deputati della propria circoscrizione. Nove su dieci in una sola direzione: invocando il no. Quello più sonoro è di destra e liberista, è quello dei piccoli e medi imprenditori che quando sbagliano non chiedono aiuto a nessuno: si rimboccano le maniche e ricominciano daccapo. Gente che ancora crede allo spirito di un Paese dove qualunque sogno può diventare realtà, ma in cui la responsabilità deve sempre essere individuale, nel successo e nel fallimento. Quell’America è visceralmente contraria a ogni ingerenza dello Stato. Ha combattuto per oltre quarant’anni il comunismo; è liberale nel cuore e nell’anima. Ma si è vista sottoporre un pacchetto che di fatto avrebbe nazionalizzato ampie fette dell’economia privata, rendendo il loro Paese improvvisamente socialista, addirittura sovietico secondo alcuni deputati, come Thaddeus McCotter del Michigan, che ha paragonato l’attuale crisi alla Rivoluzione d’Ottobre: «Ai tempi dei bolscevichi lo slogan era: pace, terra e pane. Oggi la scelta è tra pane e libertà». Sette deputati repubblicani su dieci ieri hanno scelto la libertà.
Anche quattro democratici su dieci si sono opposti ed è stata la grande sorpresa della giornata, ma per ragioni in parte differenti. Come capita di sovente, i leader della sinistra moderata si dimostrano sensibili alle ragioni del mondo finanziario. Anche questa volta, visto il ruolo della Pelosi nelle trattative. Ma la base si è ribellata, non tanto per l’intervento della mano pubblica - che anzi tra i liberal è ben accetta - quanto per una palese ingiustizia: il pacchetto salvava i colossi bancari di Wall Street, ma lasciava largamente nei guai i cittadini indebitati con i mutui e con le carte di credito.
«Un dolcetto in mezzo a una grossa cacca di mucca», lo ha definito un deputato. L’immagine è rozza ma efficace. E non è bastato turarsi il naso per scacciarne l’olezzo.
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