"Adinolfi era un giudice ‘scomodo’. È stato ucciso e il suo corpo fatto sparire". Lo dice al Giornale il giornalista Alvaro Fiorucci, coautore assieme allo scrittore Raffaele Guadagno del libro d’inchiesta sulla scomparsa del giudice Paolo Adinolfi (La scomparsa di Adinolfi, edito da Castelvecchi). Dopo 31 anni di attese, di inchieste aperte e poi archiviate, si profila una possibile svolta nelle indagini con l’avvio degli scavi nei sotterranei della Casa del Jazz a Roma. L’impulso è partito da Guglielmo Muntoni, ex giudice e attuale presidente dell’Osservatorio sulle politiche per il contrasto alla criminalità economica. L’ipotesi è che in quei cunicoli possano esserci i resti del magistrato.
La scomparsa
Era il 2 luglio 1994 quando il giudice Paolo Adinolfi, 53 anni, trasferito da circa venti giorni alla Corte d'Appello di Roma dopo che per anni aveva lavorato alla II Sezione Fallimentare del Tribunale Civile, svanì nel nulla. Quella mattina, attorno alle ore 9, uscì di casa per sbrigare alcune commissioni. "Torno per pranzo" disse alla moglie, Nicoletta Grimaldi. Secondo quanto ricostruito, la mattinata del giudice si svolse più o meno come da routine, fatto salvo per alcune stranezze che, col senno di poi, gettano molte ombre sul cold case. "Fece un vaglia alla moglie di 500mila lire, senza un apparente motivo. - spiega Fiorucci - Quel giorno lui era uscito di casa e aveva detto ai familiari che sarebbe tornato per pranzo. Quindi non escludo che sia stato costretto da qualcuno a fare quel versamento, probabilmente per depistare le indagini e ipotizzare una scomparsa volontaria". Ma non è l’unica anomalia. Le chiavi dell’auto di Adinolfi vennero ritrovate all’indomani della scomparsa nella cassetta della posta dell’anziana madre, che viveva in via Scipio Slataper, in zona Parioli. "Quella mattina il magistrato non passò a salutare la madre. E allora come mai le chiavi erano nella cassetta della posta? Qualcun altro le aveva messe lì? Chi e per quale motivo?", continua il giornalista. Un conoscente del magistrato riferì di averlo visto sul bus 4, nei pressi di piazza Indipendenza, ma la testimonianza non ha mai trovato riscontro.
Un allontanamento volontario?
Le prime indagini seguirono la pista dell’allontanamento volontario. "Gli investigatori si attennero alle numerose e presunte segnalazioni che giunsero nei giorni successivi alla scomparsa. - ricorda Fiorucci - C’è chi diceva di averlo visto in un convento, ipotizzando una sorta di crisi mistica, e chi ventilò l’ipotesi di un suicidio. Le segnalazioni furono verificate e chiaramente non ebbero riscontri". La prima richiesta di archiviazione per le indagini sulla scomparsa di Adinolfi venne formulata il 16 settembre 1995, a poco più di un anno dalla scomparsa. Il decreto di archiviazione del gip arrivò il 9 febbraio 1996. Tre mesi dopo, a seguito delle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, la procura fece richiesta di riapertura delle indagini. L’inchiesta venne riaperta, stavolta con l’ipotesi di omicidio aggravato da contesto mafioso, il 7 giugno 1996. Il 5 agosto dello stesso anno arrivò in procura a Perugia un esposto di Nicoletta Grimaldi, la moglie del giudice, la quale riferì di una cena al ristorante Casalone di Roma, a cui avrebbero partecipato circa una ventina di commensali. Tra una porta e l'altra, qualcuno avrebbe ipotizzato che il magistrato scomparso si trovasse nelle cavità di una villa molto importante, ovvero Villa Osio.
Villa Osio
Villa Osio, diventata La Casa del Jazz nel 2005, era di proprietà di Enrico Nicoletti, imprenditore noto alle cronache per essere stato il cassiere della banda della Magliana. La villa, un tempo appartenuta al Vaticano, venne acquistata da Nicoletti per un miliardo e 400 milioni di vecchie lire, a fronte dei 37 miliardi che, secondo gli inquirenti, la struttura valeva. "Il 6 aprile del 1997, a seguito dell’esposto di Nicoletta Grimaldi, cominciarono gli scavi a Villa Osio. - racconta Fiorucci - L’ispezione venne disposta dal sostituto procuratore della Repubblica di Perugia Alessandro Carnevale. Le operazioni vennero coordinate dal soprintendente archeologico dell’Abruzzo Luigi Capasso che si avvalse del contributo di esperti speleologi e geologi. I tecnici esplorarono un lungo tratto di questi cunicoli, poi si fermarono perché trovarono la strada sbarrata: non c'erano i mezzi tecnici e neanche le risorse economiche per andare avanti". Raffaele Guadagno, coautore del libro inchiesta sulla scomparsa di Adinolfi e all'epoca assistente del procuratore, aggiunge altri dettagli: "Lo scavo durò un po’, poi le attività vennero interrotte per il rischio di frana. Una frana causata da attività umana, non casuale insomma. Ricordo che negli uffici dello SCO, durante l’inchiesta su Filippo Verde, sentimmo Nicoletti il quale fece una battuta: 'Mi bucate tutta la casa per cercare cosa?'. Fu un’uscita molto singolare. Come se lui sapesse che cercavamo qualcosa che non avremmo trovato". Le operazioni peritali si conclusero con esito negativo.
Il cassiere della banda della Magliana e gli affari illeciti
Il nome di Enrico Nicoletti ritorna più volte nelle indagini sulla scomparsa di Paolo Adinolfi. E non solo per gli scavi a Villa Osio. "Nicoletti era colui che amministrava i soldi di un'organizzazione criminale e controllava gran parte degli affari illeciti che avvenivano nella Capitale. - spiega Fiorucci - Era un uomo di enorme potere economico e finanziario. Tant'è vero che il suo nome compare in molte procedure fallimentari curate da Paolo Adinolfi". Durante la sua attività alla Sezione Fallimentare, il giudice si era occupato di molte inchieste scottanti, come l’indagine su Fiscom Spa, una società di intermediazione finanziaria, di cui dichiarò il fallimento (Il provvedimento fu poi revocato da un collega mentre Adinolfi era in ferie).
In una nota redatta dall’allora pm della procura di Roma Pietro Catalani si attestava il coinvolgimento di Nicoletti nella vicenda: "…Avviate indagini sul caso, si accertava che il fallimento F. nascondeva un complesso intreccio di interessi fra Tuttolomondo, l’imprenditore Nicoletti, il notaio Di Ciommo e il direttore dell’area di Roma della Cassa di Risparmio di Rieti, Di Pietro Giuseppe. I quattro soggetti indicati si servivano, infatti, della F.F. per raggiungere scopi affatto incompatibili con le funzioni dell’impresa". Negli anni ‘90 il cassiere della banda della Magliana venne condannato per usura, estorsione ed associazione a delinquere. Nel 2001 lo Stato confiscò la villa di sua proprietà e la assegnò al comune di Roma che ne fece un centro multifunzionale per la musica Jazz.
Ambra Assicurazioni
Come spiegano Fiorucci e Guadagno nel loro libro d'inchiesta, Adinolfi sembrava avere "informazioni importanti" per le indagini relative a una società di assicurazioni, Ambra Spa, su cui all’epoca indagava la procura del capoluogo lombardo. Sentita dagli investigatori, Nicoletta Grimaldi raccontò che il marito avrebbe voluto contattare il collega di Milano, titolare dell’inchiesta, per mettersi a sua disposizione. Tra i due giudici ci fu un contatto telefonico, in cui Adinolfi comunicò all’altro magistrato che gli avrebbe fatto visita di persona. Tre giorni dopo quella conversazione il giudice scomparve. Qualcuno la intercettò? Forse quell’incontro non doveva avvenire?
La telefonata misteriosa
C’è anche un’altra telefonata, di cui non si conosce il contenuto, che secondo Raffaele Guadagno "può essere utile per arrivare a una verità storica sulla scomparsa del giudice". "Alle ore 13.30 del 9 maggio 1994, a casa della madre di Adinolfi, dove lo stesso aveva un piccolo studio, giunse una chiamata. - spiega lo scrittore - Arrivò da una sim intestata a un alto funzionario dell’Eni e durò 94 secondi. Sentito dagli investigatori, il dirigente dichiarò di non aver mai conosciuto Adinolfi né di averlo mai contattato per ragioni professionali o personali. Inoltre l’Eni, in risposta a una richiesta della procura di Perugia che chiedeva di conoscere l’usuraio effettivo della sim, spiegò che l’utenza era cessata in data 2 giugno 1994 a seguito di clonazione. E quindi chi telefonò? Fu un errore? La scelta del numero da clonare fu casuale o voluta? Credo sarebbe interessante trovare una risposta a queste domande, perché la telefonata rappresenta una traccia da non sottovalutare".
Un magistrato "scomodo"
L’ultima inchiesta venne archiviata nel 2003. Ma l’ipotesi che dietro la misteriosa scomparsa vi sia l’intervento di terzi, allora come oggi, sembra una possibilità concreta. "Studiando tutte le carte processuali, sono giunto alla convinzione che Adinolfi sia stato ucciso e il corpo fatto scomparire, perché era un magistrato che dava fastidio, uno ,scomodo'. - afferma Fiorucci - Con le sue decisioni aveva reso più difficoltoso il funzionamento di un vasto groviglio di interessi economici e finanziari sui quali si reggevano gran parte degli affari illeciti della Capitale in cui era invischiata la criminalità organizzata".
Ma qual è la strada per arrivare alla verità? "Bisogna ripartire dai fallimenti che lui ha curato e dalle persone coinvolte in quelle vicende. - conclude il giornalista - Adinolfi ha colpito più volte un sistema di corruzione e affari illeciti. È lì che bisogna cercare la verità, tra quei fascicoli".