Tutti d'accordo. Se non c'è il consenso, se non c'è un sì, l'atto sessuale diventa uno stupro. La giurisprudenza ci era già arrivata, ora si allinea il legislatore. Cambia l'articolo 609 bis del codice penale e alla Camera i sì sono un plebiscito. Duecentoventisette e nemmeno un voto contrario. Ora il testo passa al Senato dove dovrebbe essere approvato nei prossimi mesi.
Il punto chiave è il primo comma dove si dice che il soggetto viene punito con la pena della reclusione da sei a dodici anni senza il consenso libero e attuale dell'altra persona. La riscrittura della norma era una bandiera della sinistra, ma alla fine tutti i partiti hanno sposato la causa. E il clima di concordia proseguirà martedì alla Camera quando sarà approvata in via definitiva la legge sul femminicidio, promossa da tutte le forze politiche.
"Oggi - afferma Mara Carfagna, segretaria di Noi moderati - portiamo a compimento un processo di cui tutti dobbiamo essere davvero orgogliosi, perché con questa legge l'Italia diventa sempre più avanguardia nel contrasto alla violenza di genere. Finalmente - aggiunge Carfagna - eliminiamo l'onere probatorio che grava sulla vittima: perché l'aggressione sia qualificata come violenza sessuale non dovrà più essere lei a dimostrare di non aver reagito perché non era nelle condizioni di farlo".
Sulla stessa linea Elly Schlein, intercettata dai cronisti in Transatlantico: "Siamo felicissimi di questo grande passo avanti per il Paese, una piccola, grande rivoluzione culturale. È stato un lavoro trasversale perché sul terreno del contrasto alla violenza di genere bisogna mettere da parte le divergenze politiche e provare a far fare un salto in avanti al Paese".
Insomma, soddisfazione e consapevolezza in Parlamento. Ma in concreto la magistratura aveva già fissato paletti negli stessi punti in cui li ha collocati il legislatore. "I giudici di legittimità - osserva Valerio de Gioia, magistrato alla corte d'appello di Roma e autore per Nike Giuridica del Nuovo Codice Rosso - hanno chiarito che il consenso non può desumersi implicitamente dall'assenza di reazione da parte delle vittima. Non infrequente, infatti, nella casistica giudiziaria, è imbattersi in vittime di violenza sessuale (spesso di gruppo) che, durante i rapporti, rimangono inerti, quasi prive di coscienza e volontà proprie, meccanismo che mima quello che, in natura, è la strategia della preda di fingersi morta per ingannare il predatore".
Non possono esserci dubbi. La mancata reazione della vittima, per entrare nei dettagli, non può essere considerata come una forma di approvazione. Anzi, è la manifestazione fisica del terrore che si impossessa della donna in un momento così drammatico e umiliante.
Già la terza sezione penale della Cassazione nel 2014, undici anni fa, aveva stabilito che "l'abbassamento delle difese da parte della vittima che, temendo per la propria vita o incolumità fisica, finisce per accedere senza apparenti reazioni di contrasto alle violenze a suo danno, non vale in alcun modo ad elidere la violenza e ad alimentare dubbi".
Ora il Parlamento arriva alle stesse certezze. "Niente più zone grigie - sottolinea Licia Ronzulli di Forza Italia - niente più spazio a interpretazioni o giustificazioni.
Stiamo per chiudere la stagione in cui troppe donne hanno dovuto difendersi due volte, prima dall'aggressione e poi dai giudizi che insinuavano dubbi su di loro". In aula si riconosce che per arrivare fin qui è stata decisiva l'interlocuzione fra Giorgia Meloni e Elly Schlein. Ora la palla passa al Senato. Ma intanto arriva al traguardo la legge sul femminicidio. Martedì il voto.