da Roma
Caso chiuso. Almeno per ora. Perché difficilmente lo scontro andato in scena nelle ultime 48 ore tra Fratelli d'Italia e il Quirinale non si porterà dietro degli strascichi. O, almeno, è questo che si evince mettendo in fila i diversi passaggi chiave del frontale di martedì tra Fdi e il Colle e della successiva tregua siglata ieri.
Ma andiamo con ordine. A metà mattina è Giorgia Meloni a prendere l'iniziativa. La premier chiama Sergio Mattarella - quella telefonata che il Colle attendeva dalla sera prima - e gli propone un colloquio chiarificatore. Che avviene qualche ora dopo, quando - appena rientrata a Roma da Mestre - la presidente del Consiglio si presenta al Quirinale. Un incontro che chiude di fatto la querelle aperta dal capogruppo alla Camera di Fdi Galeazzo Bignami (che martedì aveva chiesto una smentita all'articolo de La Verità su un presunto piano del Colle contro la premier basato su alcune esternazioni del consigliere Francesco Saverio Garofani).
Ma poi ci sono i dettagli. Il primo è che il colloquio dura una ventina di minuti, cioè a mala pena il tempo di dire "buongiorno". È il termometro di una freddezza che nel corso della giornata viene in parte temperata dalla volontà di non esacerbare gli animi. Il secondo è che poche ore dopo il faccia a faccia Meloni fa sapere di essersi recata al Colle "per ribadire la sintonia istituzionale che esiste tra Palazzo Chigi e il Quirinale, mai venuta meno fin dall'insediamento del governo e della quale nessuno ha mai dubitato". La premier, però, ci tiene anche a far sapere di aver "espresso al capo dello Stato il suo rammarico" per "le parole istituzionalmente e politicamente inopportune pronunciate in un contesto pubblico" da Garofani. Insomma, da parte di Meloni nessun passo indietro rispetto alla richiesta di chiarimenti di Bignami che, fa sapere la premier, non era un attacco al Quirinale ma "un modo per circoscrivere al suo ambito reale la vicenda". Una richiesta, quella del capogruppo di Fdi, a cui il Colle aveva replicato manifestando "stupore" verso chi dà credito a un attacco "costruito sconfinando nel ridicolo".
Meloni, assicura chi ha avuto occasione di sentirla, in privato non esita a definire l'uscita di Garofani "intollerabile" e "inaccettabile". Anche se, riferiscono diverse fonti di maggioranza, non avrebbe chiesto a Mattarella le sue dimissioni. Circostanza che in verità lascia il tempo che trova, perché aver ribadito con tanta nettezza il suo disappunto verso Garofani rischia comunque di creare una sorta di incompatibilità di fatto. Oltre ad essere consigliere del capo dello Stato per gli affari del Consiglio supremo di difesa dal febbraio del 2022, infatti, Garofani - primo non militare a rivestire l'incarico - ricopre anche il ruolo di segretario dell'organismo. Di cui Mattarella è presidente e Meloni vicepresidente. Insomma, un discreto corto circuito.
Peraltro, per buona parte del pomeriggio, i parlamentari di Fratelli d'Italia continuano a tenere nel mirino Garofani (il più duro è Marco Osnato, secondo il quale il capo dello Stato ha scelto "una persona che si è dimostrata inappropriata al ruolo" di consigliere). La vicenda ha infatti riaperto vecchie ferite e sono in diversi ad evocare lo "scossone" che nel 2011 portò alla caduta dell'ultimo governo di Silvio Berlusconi. "Un'operazione - spiega un big di Fdi - in cui l'allora presidente Giorgio Napolitano ebbe un ruolo di primo piano".
Al Quirinale, però, non gradiscono troppo il fuoco di fila che segue a un incontro che avrebbe dovuto essere chiarificatore. E così a sera arriva la nota congiunta dei capigruppo di Camera e Senato, Bignami e Lucio Malan. "Fratelli d'Italia - dicono - ritiene la questione chiusa e non reputa di aggiungere altro.
Rinnoviamo la stima a Mattarella e l'apprezzamento per la sintonia istituzionale tra Quirinale e Palazzo Chigi". Il Colle informalmente conferma: "Caso chiuso".Dopo 48 ore sull'ottovolante la tregua è finalmente siglata. Ma è improbabile sia destinata a durare.