Le amnesie sospette di Gianfry: dal prezzo di vendita ai lavori tutto quello che resta da chiarire

È d’obbligo una premessa al monologo di Fini in cui scarica clamorosamente il cognato, mischia le carte sul prezzo di vendita, inciampa sui lavori di ristrutturazione, ritratta sui servizi deviati. Questa stramaledetta storia di Montecarlo ogni giorno di più regala coincidenze inquietanti. Che convergono tutte su Giancarlo Tulliani: coincidenza vuole che fu lui il primo e il solo a sapere (chissà come e da chi) che l’appartamento di An a Montecarlo era in vendita; fu personalmente lui a proporre a Fini la cessione a una società off-shore; fu lui, coincidenza, che si ritrovò affittuario dello stesso appartamento nel frattempo acquistato da una seconda società off-shore che, coincidenza, era collegata alla prima attraverso altre società dove, coincidenza, figura sempre l’amministratore James Walfenzao a cui Tulliani, coincidenza, recapita le sue utenze personali. A due mesi dallo scandalo, coincidenza, spunta un avvocato vicentino che parlando a nome di un cliente italiano (di cui non fa il nome) giura che l’appartamento di Princesse Charlotte è del suo cliente. La coincidenza nella coincidenza è che il legale si appalesa non appena s’è avuta conferma della bontà del documento diffuso a Santo Domingo che inchioderebbe Tulliani alla società Timara Ltd, e non appena Fini ha fatto sapere che a due mesi dallo scoop del Giornale dirà la sua verità dopo esser già scivolato sulla nota di otto punti in cui incautamente rivelava la data della seconda vendita (che non poteva, e doveva, conoscere). Tra le coincidenze dell’ultima ora va segnalata l’uscita del redivivo Tulliani che si dice tranquillo «col contratto in tasca».
Parlano tutti, all’improvviso. I protagonisti dell’affaire, noti e meno noti, trascorsi due mesi di silenzio hanno ritrovato la voce. Nelle interviste l’avvocato vicentino ha rimarcato un concetto, anzi due: il cliente mi ha contattato solo mercoledì dicendomi di essere il proprietario, ma non so dire da quanto tempo, della società Timara poiché lui ha in mano le azioni: «Fino a ieri sera era sua, ma essendo un titolo al portatore in un giorno può cambiare anche proprietario». Una frase che doveva essere ironica e che invece riapre il capitolo, evocato nelle scorse settimane, della possibilità di un possibile cambio in corsa delle azioni che sono in tasca al solo portatore, e che possono essere scambiate in qualsiasi momento, senza particolari transazioni, senza che nessuno possa mai venirlo a sapere. Per evitare brutti pensieri occorrerebbe che il proprietario dell’appartamento non si nascondesse ai giornalisti ed esibisse subito le carte. Perché se vale quel che dice l’avvocato, altrettanto vale quel che afferma un ministro di uno Stato straniero.
E veniamo al discorso, senza contraddittorio, inviato su You Tube dal presidente della Camera. Che per la prima volta mette le mani avanti e getta dubbi, pesantissimi, sul cognato: «Certo anche io mi chiedo, e ne ho pieno diritto visto il putiferio che mi è stato scatenato addosso, chi è il vero proprietario della casa di Montecarlo? È Giancarlo Tulliani, come tanti pensano? Non lo so. Gliel’ho chiesto con insistenza: egli ha sempre negato con forza, pubblicamente e in privato. Restano i dubbi? Certamente, anche a me. E se dovesse emergere con certezza che Tulliani è il proprietario e che la mia buona fede è stata tradita, non esiterei a lasciare la Presidenza della Camera». Parole pesanti, pesantissime. Rincarate dalla richiesta, fatta al cognato, di lasciare al più presto la casa: «Gliel’ho chiesto più volte, spero lo faccia se non fosse altro che per restituire un po’ di serenità alla mia famiglia». Terrificante.
I dubbi di Gianfranco Fini si rifanno, evidentemente, anche alla circostanza che «l’11 luglio del 2008 (stavolta la data è quella giusta, ndr) la casa di Montecarlo è stata venduta da An alla Printemps Ltd segnalatami da Giancarlo Tulliani». Chi la segnalò al cognato, Fini non lo dice, anche perché dentro An nessuno sapeva che l’immobile era in vendita. Così come non dice se il fratello della compagna gli ha spiegato come faceva a conoscere la società off-shore caraibica Printemps, che si interfacciò col partito, posto che questa era nata solo 45 giorni prima del rogito. Neanche una parola di Fini sulla coincidenza che con un’altra società off-shore il cognato riuscì ad andare in affitto a soli 1.600 euro al mese. A proposito di off-shore («che a differenza di altri che hanno usato, e usano, queste società per meglio tutelare i loro patrimoni familiari o aziendali», riferimento a Berlusconi non è casuale): per Fini è normale che un partito si rivolga a una società che ha sede nei paradisi fiscali e che potrebbe nascondere, tra i soci, anche un criminale. «È stato scritto: ma perché venderla ad una società off-shore, cioè residente a Santa Lucia, un cosiddetto paradiso fiscale? Obiezione sensata, ma a Montecarlo le off-shore sono la regola e non l’eccezione». Follia. Al suo ex partito, negli anni, sono state avanzate svariate proposte da persone residenti in Italia. Proposte ben più interessanti di quelle che hanno portato ad alienare l’appartamento a soli 300mila euro. E qui si apre un altro capitolo imbarazzante per la terza carica dello Stato: «Il valore stimato dall’appartamento, che non è una reggia anche se sta nel Principato, 50-55 metri quadrati, è di 230mila euro (…). Il prezzo della vendita, 300 mila euro, è stato oggetto di buona parte del tormentone estivo. Dai miei uffici fu considerato adeguato perché superava del 30 per cento il valore stimato dalla società immobiliare monegasca che amministra l’intero condominio». Stima che risaliva a dieci anni prima, ma questo Fini si dimentica di riferirlo. Stima che fa inorridire gli addetti ai lavori del Principato, che dal 2008 ad oggi cristallizzano la «stima» per quel tipo di immobile ben oltre il milione e mezzo di euro. «Si poteva spuntare un prezzo più alto?» si chiede Fini, che si dà pure la risposta: «È possibile. È stata una leggerezza? Forse. In ogni caso, poiché la Procura di Roma ha doverosamente aperto una indagine contro ignoti, a seguito di una denunzia di due avversari politici e poiché, a differenza di altri, non strillo contro la magistratura, attendo con fiducia l’esito delle indagini». Anche qui Fini non fa funzionare bene la memoria cancellando le tante offerte, ufficiali ed ufficiose, arrivate al partito. A cominciare da quella superiore al milione avanzata per conto terzi dal senatore Antonino Caruso e di cui il parlamentare ha dato ampia prova ai pm. Altra amnesia: «Come ho già avuto modo di chiarire, solo dopo la vendita ho saputo che in quella casa viveva il signor Giancarlo Tulliani. Il fatto mi ha provocato un’arrabbiatura colossale, anche se egli mi ha detto che pagava un regolare contratto d’affitto e che aveva sostenuto le spese di ristrutturazione. Non potevo certo costringerlo ad andarsene, ma certo gliel’ho chiesto e con toni tutt’altro che garbati». Stavolta non cita la fidanzata che «solo dopo la vendita» le disse che l’affittuario era il fratello forse perché dalla lettura mattiniera del Giornale aveva appreso che secondo il costruttore incaricato di seguire inizialmente i lavori di restauro, anche Elisabetta aveva partecipato fattivamente alla ristrutturazione. Fini precisa di essersi arrabbiato solo con lui, che tra l’altro gli ha rifilato un’altra panzana se è vero, come ci ha detto il titolare della società che ha rimesso a nuovo l’appartamento, che a pagare non fu Giancarlo ma la Timara. Lapsus? «Ho sbagliato? Con il senno di poi mi devo rimproverare una certa ingenuità. Ma, sia ben chiaro: non è stato commesso alcun tipo di reato, non è stato arrecato alcun danno a nessuno». Quanto al documento che a Santo Domingo inchioda il cognato, Fini evoca pagine oscure, con deviazioni non più attribuibili ai servizi segreti (la cui lealtà istituzionale è fuori discussione al pari della stima che nutro nei confronti del sottosegretario Letta e del prefetto De Gennaro). Ce l’ha con «personaggi torbidi e squalificati», con «faccendieri professionisti» che andrebbero a caccia di prove per incastrarlo.

Ce l’ha con la lettera che doveva restare riservata e che invece «è finita in mondovisione» perché il ministro era preoccupato del buon nome del paese messo a repentaglio da società off-shore che aveva avuto a che fare con un appartamento, mica con quelle dietro alle quali si nascondono «trafficanti d’armi e di droga». Ce l’ha con i manganellatori delle notizie. Ce l’ha col cognato. Ce l’ha col mondo intero, tranne che con se stesso «perché per quel che mi riguarda ho certamente la coscienza a posto». Chissà se ne è davvero convinto.

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